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Vanessa Incontrada su Vanity Fair: la body positivity dei privilegiati

La body positivity, di cui abbiamo già un po’ accennato su questi schermi, non è una filosofia completa e già snocciolata in tutte le sue forme. È invece un work in progress.
Ogni giorno si sviluppano nuovi punti di vista, che nascono dall’ascolto di diverse realtà di vita, diverse esperienze che tutti noi, in un modo o nell’altro, abbiamo avuto riguardo la percezione, nostra e degli altri, del nostro corpo. L’argomento è vasto, complesso. Le implicazioni devono ancora essere scovate tutte e smantellate.
Ma una cosa è certa, la body positivity è un ottimo strumento di marketing.

L’idea di “accettare il proprio corpo” e di “amarsi” è facile da vendere, soprattutto se tutti questi concetti puoi includerli in una foto di una donna con un corpo (a loro dire) non conforme e infilarci un bello slogan.

Copertina di Vanity Fair con Vanessa Incontrada

Body positivity: la copertina di Vanity Fair

Sto parlando, ovviamente, della copertina di Vanity Fair che rappresenta una meravigliosa Vanessa Incontrada in full nude.
Con le gambe accavallate, nessuna traccia di anche solo un buchetto di cellulite, capelli perfetti, braccia toniche, trucco impeccabile, pelle liscia, e due infimi, infimissimi, rotoletti di pancia. Se così li vogliamo chiamare.
Un monumento alla body positivity? In realtà vediamo quindi una bellissima donna, bianca, con un corpo abile, perfettamente depilata e con uno slogan: “Nessuno mi può giudicare”.
Ed ha ragione.

Vittima di body shaming

Sappiamo che, negli ultimi anni, Vanessa Incontrada è stata vittima di body shaming. In molteplici occasioni Incontrada ha dovuto sorbirsi orribili titoli di giornaletti e commenti online che facevano riferimento al suo peso. Ma ne è uscita sempre come una signora, dimostrandosi da subito come una persona che conosce il suo valore e che sa che va ben oltre il numero sulla bilancia.
In nessun modo quindi voglio minare il significato che ha avuto per lei questa copertina.
Come dice anche la Incontrada stessa “Questa cover è il momento più bello degli ultimi anni” e non fatico a crederci. Credo che rappresenti un momento di crescita personale e di grande liberazione e di accettazione del sé che, troppe volte, avviene solo quando otteniamo commenti positivi.

Body positivity: questa cover a chi è stata utile?

Quindi, questa cover, è stata utile a Vanessa Incontrada, che si è riappropriata del suo corpo con una narrazione scelta da lei, e a Vanity Fair che ha venduto copie e fatto parlare di sé.
Ma a chi altro è stata utile? Certamente non ai corpi non conformi, cioè i veri destinatari della filosofia del body positivity.
È vero, bisogna far spazio per tutti, ma in realtà non si sta facendo altro che creare altro spazio per corpi che sono già rappresentati nei media e che, questo spazio, già lo hanno.
Vanessa Incontrada non è grassa, non è disabile, risponde perfettamente ai canoni. Parliamoci chiaro, quelli non sono rotolini. È come vedere l’ennesima influencer wannabe taglia 44 che si accovaccia per terra, si slaccia i pantaloni e quando la pelle si piega, la si spaccia per ciccia e si inneggia all’amore per sé per like facili.
Questa cover non ha fatto granché bene alle persone che lavorano tutti i giorni per essere body-positive. Perché se Vanessa Incontrada viene inneggiata come un esempio di “corpo non conforme”, se viene inneggiata come un corpo che “parla a tutte le donne”, che cosa succede nella testa delle donne che davvero non sono conformi agli standard di bellezza richiesti?
Se l’Incontrada è “così coraggiosa”, da mostrarsi full nude anche se ha qualche “chilo in più”, chi invece ha molti chili in più dovrebbe ricevere un premio anche solo per aver avuto il coraggio di uscire di casa?

Presa di posizione nei confronti della stampa e degli hater

Per quanto sia molto contenta per il percorso personale della Incontrada, credo che dovrebbe rimanere tale. Un percorso personale legato all’autostima e ad una presa di posizione nei confronti della stampa e degli hater online. Ma non credo che ci sia bisogno di scomodare un intero movimento che da anni sta cercando di creare spazio per quei corpi non conformi. Inoltre non è neanche un bashing nei confronti della rivista Vanity Fair che si dimostra un po’ più avanti degli altri con l’inserimento, in questo numero, di articoli con topic riguardanti la body positivity.

Body positivity sui social

Mentre le riviste ci stanno arrivando, forse. Su Instagram c’è un’intera comunità di donne, con corpi davvero non conformi, che sono stanche di sentirsi dire che “devono coprirsi”.
Mentre le donne con corpi conformi agli standard di bellezza possono permettersi di scoprirsi, anzi, viene loro chiesto, alle donne grasse o disabili o con qualsiasi altra difformità dalla norma, viene chiesto di coprirsi.
Sarebbe ora che i media mainstream, invece di lavorare sulle soglie dell’“accettabile”, inizino a prestarsi alla vera rappresentazione. Mi piacerebbe, un giorno, vedere sulla copertina di Vanity Fair o simili una bella donna grassa, una donna trans, una donna con i peli, una donna disabile, una donna grassa, trans, disabile con i peli.

Promozione della grassofobia

Ogni volta che una donna grassa si mostra è quasi automatico che riceva commenti che riguardano la “promozione dell’obesità” o commenti sulla “salute”.
Abbiamo già parlato qui della problematicità di questo discorso, ma vorrei sottolineare ancora una volta che questi commenti non riguardano la presunta preoccupazione per la salute di una persona. Bensì è una rappresentazione chiara dell’odio verso le persone grasse, che serpeggia da sempre nella nostra cultura.
È invece l’odio verso i corpi grassi che viene promosso in continuazione, tanto da far vivere nella paura le persone grasse. Persone che diventano vittime di bullismo e discriminazione, e fanno vivere nel terrore di diventare grasse, le persone magre. Ma non per la salute, ma per paura di vedersi riservato lo stesso trattamento che vedono dedicato alle persone grasse.

Post di Lucca Comics & Games. Illustrazione di Mariacristina Federico

Cosplay è mascherarsi, non nascondersi

Commenti del genere ho avuto il dispiacere di leggerli sotto un post pubblicato qualche giorno fa su Instagram dall’account del “Lucca Comics and Games“. Il Festival di Fumetti più grande d’Italia che, in tempi non di pandemia, si svolge alla fine di ottobre/inizio novembre a Lucca. Il post è una meravigliosa illustrazione di Mariacristina Federico che mostra una ragazza semi-grassa con indosso il famoso outfit di Harley Queen.
La caption della foto recita: “Avrà preso tutto? Quello che conta è che il costume sia riuscito bene, cosplay è mascherarsi non nascondersi, accettando il proprio corpo senza vergognarsi delle proprie imperfezioni o del giudizio altrui”.

Il body shaming nel mondo cosplay

La scelta, da parte del Lucca Comics, di dare visibilità all’illustrazione di questa artista ha finalmente affrontato l’elefante nella stanza dei cosplay: il body shaming.
Mentre all’inizio della “cultura geek” travestirsi era da sfigati, adesso il mondo dei cosplay è un business a tutti gli effetti.
I cosplayer spendono centinaia di euro per essere la perfetta riproduzione del personaggio, ma la maggior parte di loro hanno un privilegio che non si può acquistare. Quello di avere un corpo assolutamente conforme e che può, con aiuto di vestiti, trucco e parrucco, rappresentare qualsiasi personaggio della cultura pop.
Questo dice molto sulla rappresentazione dei corpi grassi o disabili nei media, persino quelli underground come fumetti e videogiochi. Ma è riuscito a far passare questo messaggio che puoi “travestirti” dal tuo personaggio preferito solo ed unicamente se la struttura fisica che presenti è la stessa.
Questo è ovviamente errato e va contro tutto quello che è la cultura geek e dei cosplayer: che c’è posto per tutti.

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