Quanto conta l’istruzione nella nostra società? I numeri sui nuovi iscritti all’Università italiana per l’anno accademico 2019/2020 ha subito una leggera flessione; 264 mila matricole rispetto alle 266 mila di quello precedente, cioè meno 0,7%. Un trend in calo già da alcuni anni e che sembra volersi confermare. Probabilmente i numeri non dovrebbero sorprenderci, vista la crisi economica e sociale che sta investendo il nostro Paese. Nonostante il sostegno alle famiglie e agli studenti meritevoli, grazie al sistema di borse di studio, non tutti sono in grado di sostenere l’istruzione universitaria. Ma il problema, come detto, è anche sociale. L’istruzione non è più di “moda” nel nostro Paese. Non voglio scendere in facili moralismi, tuttavia i giovani hanno capito che lo studio non paga. I numeri sulla disoccupazione giovanile mostrano chiaramente quanto poco interesse ci sia verso questa generazione. Perché investire sulla propria formazione quando non si avrà un lavoro?
Università: lo stop della quarantena
Questo 2020 si sta distinguendo dagli altri anni per numero di sfide che si stanno affrontando a livello globale. La parola coronavirus, ormai, è entrata a far parte del nostro lessico e anche della nostra quotidianità. E a farne le spese sono stati anche gli studenti, di ogni ordine e grado. I due dicasteri (scuola e Università) hanno deciso di bloccare tutte le attività in presenza come è avvenuto per la maggior parte delle attività. È iniziato, così, un lungo periodo di didattica a distanza. Per gli studenti della scuola, questo periodo sta per concludersi, almeno per la pausa estiva. Per quelli universitari, purtroppo, c’è ancora da attendere, con gli esami della sessione estiva ancora in corso. Ma rimangono ancora poco chiare le modalità della ripartenza, sia in un verso che nell’altro. La questione della didattica a settembre è aperta sul tavolo, ancora lontana dal vedere una soluzione fattibile.
L’istruzione bloccata alla Fase1
Mentre il resto d’Italia sembra essere ripartito, tanto da essere entrati da qualche settimana nella fase 3, questo non vale per gli studenti. Scuola ed Università sono bloccati ancora alla fase 1 (checché ne dica il Governo), come due mesi fa, nel pieno dell’emergenza. Bar, negozi, campionato di calcio, discoteche, attività balneari. La ripartenza c’è stata per tutti, eccetto per alcune categorie di dipendenti pubblici, ma non per la scuola. Il Ministro dell’Università Gaetano Manfredi, qualche giorno fa, ha annunciato quelle che sono le intenzioni del suo Ministero, in merito alla ripartenza.
Dall’autunno, in quella che chiamiamo la fase 3 e che durerà fino al 31 gennaio – spiega il ministro al Corriere –, ci saranno formule di didattica mista con lezioni parzialmente in aula ma non per tutti. I fuorisede, chi ha difficoltà a raggiungere l’ateneo, gli stranieri potranno seguire le lezioni a distanza.
Le proteste dei professori universitari
Gli studenti chiedono di tornare in aula e di poterlo fare quanto prima. I professori universitari italiani sono dello stesso avviso. Non c’è bisogno di sottolineare l’importanza della socializzazione, dell’interazione diretta con l’interlocutore, della necessità di tornare ad una vita offline. I docenti chiedono un piano per la riapertura dell’Università sin da settembre, garantendo l’uso di spazi alternativi dove ricominciare a fare lezioni ed esami in presenza. Ciò richiederebbe un reclutamento straordinario di professori in grado di coprire le esigenze della didattica e il finanziamento di servizi e un nuovo welfare studentesco. La didattica a distanza è uno strumento utilissimo, questa crisi ce lo dimostra, ma non può e non deve essere una soluzione a lungo termine.
Temiamo che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale.
Questo il commento dei professori universitari. Dunque, quanto conta l’istruzione per l’Italia?
Immagine di copertina: Foto di Nathan Dumlao su Unsplash.
Lascia un commento