Ho parlato in qualche altro pezzo qui e là di come le donne siano diventate una sorta di capro espiatorio sociale. Soggetti a cui addossare le colpe di qualsiasi cosa che non vada bene nella nostra società. E la caccia alle streghe ne è un esempio.
La violenza, che sia essa fisica o psicologica, è ancora il metodo numero uno utilizzato per cercare di riprendere il controllo del corpo e della mente delle donne.
È questo il caso quando parliamo, ad esempio, degli attacchi con l’acido nei confronti di ex partner dopo una separazione. L’idea del “se la sfiguro nessuno la vorrà più” risiede in quel tentativo ultimo di controllare il corpo della donna e, eventualmente, la presunta percezione delle altre persone.
Quando parliamo di femminicidio, troviamo lo stesso discorso. Uccidere è il controllo finale che si ha sul corpo della donna: “Sono io a decidere se vivi o muori”.
Lo stesso accade quando parliamo di aborto, un argomento strettamente legato alla capacità di mettere al mondo dei figli. È una responsabilità per le utero-munite (si intende la gestazione e non il crescerli). Ed è ovvio che anche qui politici, religioni, associazioni abbiano voluto allungare la mano per sottolineare che: “Pensi di avere il controllo almeno di questo, ma non è così!”.
Utilizzare la violenza come ultimo, estremo, tentativo di controllo sulle donne non è una cosa moderna, ma è una tesi che troviamo in ogni angolo della storia. Lo capiamo quando pensiamo alla Caccia alle Streghe.
Non è una sorpresa, infatti, che lo slogan delle “prime” femministe degli anni ’60-’70 fu «Tremate, tremate, le streghe son tornate.»

Caccia alle streghe
Il concetto di stregoneria, la figura della “strega malvagia”, della donna toccata dal diavolo sono state per centinaia di anni il pretesto per fare violenza su donne il cui unico peccato era quello di voler essere indipendenti e libere. Nel pensiero e nel corpo.
La figura della strega, infatti, viene molto spesso descritta come una donna libera, che vive ai margini della società, sola (se non in compagnia delle sue sorelle). È spesso raffigurata nuda e giovane, il ché associa il suo archetipo ad una sessualità libera e spregiudicata. Oppure vecchia e sporca, cioè una condizione “inaccettabile” per una donna.
Tutte cose che al patriarcato non piacciono per niente.
Iniziano le persecuzioni
Le persecuzioni verso queste donne iniziarono in un periodo, quello intorno al XV secolo, in cui la morale religiosa sia in Europa che nel Nuovo Mondo, diventava sempre più forte e diventava la risposta alla complessità della vita.
Le “streghe” divennero il capro espiatorio per tutto quello che non si riusciva a comprendere o per le cose che non andavano come sarebbero dovute andare.
Si iniziò a raccontare di queste “streghe”, che non erano altro che un modo per dimostrare la presenza del diavolo tra i “fedeli” e quindi permettere alla chiesa di avere sempre più potere di influenza sulle persone.
Ed era, in modo non collaterale, un sistema per controllare tutti quei comportamenti che non si allineavano con le credenze che, il puritanesimo nel Nuovo Mondo e il protestantesimo in Europa, cercavano di inculcare.
Malleus Maleficarum
Nel 1487, sotto la benedizione papale, uscì un documento che tutt’ora viene ricordato come il testo più misogino che si ricordi, il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe).
I due frati domenicani colpevoli di aver scritto questo testo non erano in nessun modo confusi. Quello che volevano far passare nel loro testo era che le donne, a causa della loro debolezza, del loro scarso intelletto e della forma dei loro genitali (!!!), fossero più predisposte agli attacchi del demonio.
Inoltre questo testo viene ricordato anche come un documento particolarmente pregno di dettagli scabrosi. Soprattutto riguardanti i fantomatici sabba erotici che queste donne del diavolo intrattenevano con demoni vari. Un porno ante litteram, praticamente.
Il tutto si concludeva con un vademecum per il perfetto processo alle streghe, sulla non necessità di reperire alle accusate un avvocato, perché verrebbe comunque “stregato” e su una serie di tecniche di tortura che si consigliano per “ottenere la verità”.
Lo zampino della religione
Tutto questo andava di pari passo con le dottrine luterane e puritane che credevano l’Uomo intrinsecamente peccatore e in cerca di redenzione per tutta la sua vita. Le donne, però, lo erano di più perché erano proprio loro a portare i “santi uomini” al peccato, con il loro corpo.
Secondo lo storico Brian Levack non era un caso che la maggior parte di persecuzioni nei confronti delle “streghe” avvennero in paesi germanici, dove era più diffusa la dottrina luterana e negli Stati Uniti, con il puritanesimo.
Le motivazioni sociali
Ovviamente la causa della Caccia alle Streghe del XV secolo è molto più complessa di così. Dietro, come sempre, si nascondono motivazioni sociali ed economiche.
Le donne che venivano condannate a morte erano povere, sole, che vivevano ai margini della società, in un momento di crescita urbanistica e il conseguente cambio di costumi.
La stregoneria divenne solo un modo per eliminare velocemente le persone scomode per la società. Come donne che non volevano sposarsi, prostitute, levatrici che si occupavano di far abortire e le donne lesbiche.
La madre e moglie
Tutto quello che non assomigliava alla moglie devota e alla madre per eccellenza, veniva tagliato via come erbaccia dal giardino.
Il tentativo finale era quello di reprimere e controllare il corpo delle donne. Per cercare di tenerle all’interno delle strutture patriarcali come il matrimonio e la maternità e tenerle lontane dalla vita sociale di una certa importanza.
Il tabù della sessualità
Non è un caso, come dicevo precedentemente, che le streghe venissero descritte come delle donne disinibite. E che, molto spesso, erano coinvolte in relazioni sessuali con altre donne. Questo perché ogni tipo di sessualità femminile che non avesse a che fare con la figura maschile, veniva aborrita.
Questi strascichi ce li portiamo ancora adesso, con una forte sensazione di taboo che ancora circonda la sessualità e l’erotismo femminile.
Lo slut shaming, di cui abbiamo già parlato in passato, è l’esatto esempio di come la sessualità maschile viene vista, pubblicizzata, promossa. Mentre quella femminile nascosta e, quando viene fuori, condannata.
Sì, è vero, all’inizio ho parlato di violenza maschile sulle donne, ma dobbiamo sempre ricordare che i veri nemici non sono gli uomini, bensì quegli stereotipi di genere che TUTTI abbiamo interiorizzato. Sia uomini che donne.
Non combatterli, però, è il vero crimine.
È davvero cambiato qualcosa?
Nel XV secolo non avere un marito, non voler sottostare alla volontà paterna, persino decidere di vivere da sola poteva costarti la vita. Torturata, impiccata o bruciata sul rogo.
Oggi indossare una gonna corta, lasciare tuo marito, rifiutare un’avance può costarti la vita o l’incolumità fisica.
È davvero cambiato qualcosa?
Nel XV aiutare le donne (spesso abusate) ad abortire, quando rimanere incinta da nubile veniva considerato un peccato, poteva significare perdere la vita sul rogo.
Nel 2020 vediamo ancora cartelloni firmati da associazioni religiose misogine e omofobe in giro per le nostre città. Con narrazioni tossiche e violente che non fanno altro che violare la libertà della donna e violentarla con il senso di colpa.
È davvero cambiato qualcosa?
Nel XV andare contro la volontà di tuo padre, scegliere un partner diverso, cercare di crearsi una propria vita poteva significare la morte.
Nel 2020 una ragazza è stata volontariamente uccisa perché suo fratello non accettava che lei avesse scelto una persona che lui non riteneva adatta.
Il tentativo ultimo di controllo sulla vita sessuale e sentimentale di una sorella, spiegabile solo attraverso un modello di uomo prepotente. Convinto di essere nel giusto, incapace di accettare la propria impotenza.
È davvero, quindi, cambiato qualcosa?
Testi di approfondimento:
Silvia Federici – Caccia alle streghe, guerra alle donne.
Kristen J. Sollee ¬– Witches, Sluts, Feminists
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