Fleabag - Pretty privilege

Pretty privilege: Virginie Despentes e la liberazione dalla bellezza obbligata

“Scrivo dalla sponda delle brutte, per le brutte, le vecchie, le camioniste, le frigide, le mals*opate, le ins*opabili, le isteriche, le tarate, per tutte le escluse dal grande mercato della gnocca. […]
Non mi vergogno minimamente di non essere gnocca. In compenso che, siccome agli uomini non interesso granché, si cerchi continuamente di suggerirmi che non dovrei nemmeno esistere, mi fa andare in bestia […]

King Kong Theory, Virginie Despentes

Così inizia il suo King Kong Theory Virginie Despentes, autrice francese che ha scritto un libro non sul femminismo, ma del femminismo.
Il suo libro, da poco ristampato da Fandango Libri, percorre momenti importanti e traumatici della sua vita. Il suo stup*o, l’esperienza come sex worker e la relazione tra la società e il porno, sono alcuni dei temi controversi che l’autrice affronta, in modo diretto, schietto e senza laccature.

King Kong Theory – Virginie Despentes

La virilità delle donne

Una donna educata «come un uomo», come dice nel suo scritto, con troppa «virilità», che ha provato in tutti i modi ad addolcire il suo temperamento. Ha provato a rendersi più mansueta, più controllabile, per attrarre gli uomini, per non spaventarli.
Ma niente ha funzionato, perché lei non era così. Lei assomiglia più a King Kong, piuttosto che a Kate Moss.

Pretty privilege

Questo ci porta all’argomento che vorrei affrontare oggi.
La Despantes dice chiaramente, all’inizio del suo libro, che lei scrive dalla parte delle brutte. Non ha paura ad utilizzare questo termine, così come non ha peli sulla lingua quando parla di «fisico ingrato o mediocre».
Non si lamenta, ma afferma che, nel mondo reale, come in quello romanzato, non c’è posto per le donne brutte, per le donne dal fisico considerato poco piacente, delle donne disabili, delle donne poco “femminili”.

Le catene della femminilità

Abborra questo termine, volendo distruggere dalle fondamenta le basi del comportamento considerato femminile. Abborra l’immagine della «donna bianca, seducente ma non tro*a, snella ma non maniaca delle diete, buona padrona di casa ma non la classica sguattera, ambiziosa ma con dei limiti».
La tipologia di donna che, secondo la Despantes, cercano di venderci in ogni salsa.
Un modo di imporre un solo modo di essere donna e far sentire tutte le altre in difetto.

L’autrice dice che le donne brutte sono «sempre esistite, anche se nei romanzi degli uomini, che immaginano solo donne con cui vorrebbero andare a letto, di noi non si parla. Anche oggi che di romanzi le donne ne pubblicano, è raro imbattersi in personaggi femminili dal fisico ingrato o mediocre, inabili a piacere agli uomini o a farseli piacere.»

La necessità dell’autoanalisi

Anche le donne (che in nessun modo vengono risparmiate nel libro, portando ad un livello di autoanalisi scomodo e importantissimo) sono responsabili di continuare a dar spago alla rappresentazione di donne perfette, seducenti ma non tro*e, snelle ma di buona forchetta, che vuole essere indipendente, ma fino ad un certo punto.

Possiamo vedere la rappresentazione di queste donne in diversi prodotti editoriali e poi, ehimè, cinematografici. Dal più famoso Cinquanta sfumature di grigio che, pur parlando di “sesso spinto”, ha la protagonista più Biancaneve del secolo. Fino all’ultimo arrivato After in cui possiamo vedere chiaramente la sindrome della donna “dagli specchi di legno” (la capostipite prende il nome di Bella Swan), cioè la classica giovane ragazza che è “bella, ma non lo sa”, perché le donne troppo consapevoli non ci piacciono.
Tutte hanno in comune qualcosa, comunque: un fidanzato ricco e bello.

Pretty privilege

Quelle prime pagine del libro della Despantes mi ha fatto pensare a quello che, in inglese, viene chiamato il “pretty privilege”. Letteralmente, il privilegio di essere belle.
Anche se ante-litteram, l’autrice lo descrive in questo modo:
«Ovvio che se fossi bella, bella da far cambiare atteggiamento a tutti gli uomini che incontro, non scriverei quello che scrivo».
L’autrice lo dice con una certa sincera ironia, che ricorda un po’ la mia personale icona femminista Fleabag che, nella battuta migliore del secolo dice:

“A volte penso che non sarei così femminista se avessi tette più grandi”.

Fleabag, Amazon Prime
Fleabag su Amazon Prime

Ma le parole che mi hanno colpito sono state “bella da far cambiare atteggiamento agli uomini”.
Non è un segreto, infatti, che gli uomini tendano a portare più rispetto e a comportarsi in modo più considerato quando si trovano davanti una donna che trovano attraente da un punto di vista sessuale.
Le persone belle, oggettivamente, si muovono un po’ più agilmente nella vita.

Tutti ricordiamo la bella della classe. Quella che faceva girare la testa, quella che tutti si accorgevano se cambiava taglio di capelli o si era comprata qualcosa di nuovo. E molto probabilmente questa ragazza era magra, bianca, abile. Parlava a voce bassa, dolcissima, sempre elegante, mai sfacciata.

Pretty privilege a lavoro

Mentre giudicare una persona in base al genere, alla razza o alla religione viene considerato generalmente un comportamento errato e chiaramente riconoscibile, giudicare una persona dall’aspetto fisico è più subdolo e facilmente dissimulabile.
Un esempio, a riguardo, potrebbe essere un colloquio di lavoro. Tra due persone, una canonicamente bella e una un po’ meno, si potrebbe tendere a scegliere la persona che ci attrae di più esteticamente.
A volte è una decisione conscia, a volte no.

Bello o intelligente

In questo articolo di Allure, l’autrice Janet Mock dà un punto di vista molto interessante in quanto donna trans.
Mentre da ragazzo non era mai stato considerato “bello” (piuttosto intelligente) e veniva socialmente ignorato, dopo la sua transizione il modo in cui veniva accettato nelle cerchie sociali è cambiato completamente. Ora era una bella ragazza e, attirare l’attenzione dei maschi cis-gender, le ha aperto non poche strade. E ha potuto vedere che forma aveva il pretty privilege.
Improvvisamente – dice – facevo parte del gruppo e non avevo fatto niente per meritarmi l’attenzione che il mio essere bella mi aveva fatto ottenere. Improvvisamente la gente mi guardava e sorrideva, mi offriva il suo posto sull’autobus e i drink al bar. Mi facevano complimenti e mi tenevano la porta aperta”.

Popolarità, voti alti e gentilezze

Continua dicendo che il “pretty privilege” può garantirti popolarità, voti più alti a scuola, reviews più gentili a lavoro e un movimento sociale e lavorativo più veloce. Le persone belle sono anche considerate più in salute, più intelligenti e più competenti e anche più meritevoli di fiducia.

Facciamoci due domande

Ammetto che sarebbe interessante porsi una serie di domande, come, ad esempio, se ognuno di noi si è mai trovato ad essere più gentile o a comportarsi con più cura nei confronti di una persona solo perché di bell’aspetto. Oppure se, come donne, tendiamo a sentirci meno in pericolo, o più al sicuro, con uomini sconosciuti ma di bell’aspetto (ricordiamo tutti la triste realtà che il serial killer Ted Bundy riuscì ad avvicinare le sue vittime perché considerato bello, affascinante e well-spoked).

La liberazione

Ma la verità è che non riusciremo a cambiare il modo in cui gli standard di bellezza assoggettano le nostre vite. Ammettiamolo, non è neanche all’orizzonte la possibilità di non dover più rispondere a degli standard anche solo per vivere una vita serena.

Per questo la risposta di Virginie Despentes è forte e liberatoria:
«Mi sono sempre sentita brutta e va bene così, tanto più che mi ha salvato da una vita di mer*a a sciropparmi bravi tipi[…] Dunque scrivo da qui, dalla sponda delle invendute, quelle con la testa rasata, quelle che non si sanno vestire, quelle che non ci sanno fare, quelle che gli uomini mettono in croce […] quelle col cu*o grosso, quelle coi peli folti e nerissimi che non si depilano, le donne brutali, rumorose, quelle che odiano le profumerie […]»

È liberatorio anche allontanarsi dall’idea che tutti dobbiamo essere belli, e capire che si è belli per le persone che contano.
Come dice anche Megan Nolan al New York Times: «Non sarebbe liberatorio ammettere che la maggior parte della gente non è bella? Non sarebbe bello considerarlo un accessorio con cui si è nati, come il talento per il nuoto o suonare il pianoforte».

Quante cose saremmo in grado di ottenere, dice, se non concentrassimo tutta la nostra attenzione nel cercare di sembrare belli, al chiederci come gli altri ci vedono, a guardarci allo specchio?

Everyone is beautiful, we’re told. But why should we have to be?

Lascia un commento