La pandemia ci ha costretti in casa e le attività di ristorazione hanno dovuto correre ai ripari venendo loro da noi. Per farlo, però, c’era bisogno di un gran quantitativo di contenitori per l’asporto, ma era packaging sostenibile? Molte aziende si stanno sempre più orientando verso l’uso di confezioni ed imballaggi rispettosi dell’ambiente, in grado di limitare l’inquinamento (emissioni di CO2) e la dispersione in natura.
La plastica rimane sempre il nemico numero uno. Da quando, nel 1997, Charles Moore lanciò per primo il suo allarme di ritorno da una regata, il fenomeno delle plastiche in mare è cresciuto a dismisura. A quel tempo, durante la navigazione incontrò un’isola di plastica galleggiante così estesa che ci vollero sette giorni per superarla. Il suo nome è Great Pacific Garbage Patch, anche detta Pacific Trash Vortex, ed è situato tra il Giappone e le Hawaii.
Ma non è più solo. Nei nostri mari ci sono almeno altre cinque isole di plastica, di dimensioni più ridotte: nell’Oceano Indiano, nel Nord Atlantico, nel Sud Pacifico, nel Sud Atlantico e nel Mar Mediterraneo (tra Elba e Corsica). Secondo le stime, negli oceani navigherebbero un totale di 5,25 trilioni di pezzi di plastica per un peso complessivo di 269.000 tonnellate.
Packaging sostenibile: le microplastiche sono ovunque
Non è un caso che proprio in questi giorni si sia data notizia di particelle di plastica rinvenute nella fossa delle Marianne, la depressione sottomarina più grande al mondo. O ancora, si sono rintracciate particelle anche sulle sommità delle vette di tutto il pianeta e nei feti di donne in gravidanza. Insomma, la plastica la usiamo, la gettiamo e la mangiamo. Molte aziende, fortunatamente, se ne sono rese conto già da tempo ma anche la maggiore sensibilità dell’opinione pubblica e la pressione esercitata da gruppi come Friday’s for Future, hanno il loro peso. L’obiettivo per raggiungere un packaging sostenibile fissato al 2025 per le aziende si sta avvicinando e la ricerca accelera. Molti tentano la strada del ritorno ai vecchi metodi, come il vuoto a perdere, ma si tentano anche nuovi modelli di riutilizzo come Loop.
Packaging sostenibile: riutilizzare è meglio ma non sempre
Loop è una piattaforma di riuso pensata da un’azienda statunitense, TerraCycle, nata per eliminare gli sprechi del packaging nei prodotti di consumo domestico. Aziende come P&G, Oral-B, Nestlé, PepsiCo, Carrefour e molte altre hanno deciso di aderire a questa sperimentazione che permette di recuperare, ripulire, ricaricare e rimettere in commercio il packaging dei propri prodotti. Adesso si sta pensando di far migrare il servizio anche verso le catene di ristorazione rapide come Burger King, McDonald, ecc. Ma questa non è l’unica idea del genere. A New York la startup Good Goods incentiva i clienti a restituire le bottiglie di vino nel proprio punto vendita.
Rendere gli imballaggi compostabili è cosa buona ma non sempre
In un recente articolo di Repubblica si è osservato che l’uso di stoviglie monouso lavabili consumano più di quelli usa e getta. E se invece utilizzassimo materiali compostabili? Come in molti affermano, quello attuale è un periodo di forte sperimentazione, ed ancora non si è trovata la formula giusta. Il bio-PET pur essendo di origine biologica non è biodegradabile. Il PLA (acido polilattico), a base di amido di mais o, in alternativa, canna da zucchero, sono biodegradabili ma hanno comunque le proprie controindicazioni. Qui potete trovare un report sui progressi che si stanno facendo in questo ambito.
Gli esperti ritengono di non dover puntare eccessivamente e ciecamente sul compostabile laddove non sia fattibile. Il settore alimentare è di sicuro quello che principalmente trarrebbe benefici dal packaging sostenibile e compostabile ma devono esserci anche le infrastrutture a renderlo possibile. Altrimenti è tutto fumo negli occhi.
La responsabilità del produttore
Negli Stati Uniti si sta pensando seriamente, e in alcuni casi ci si è già attivati, di rendere i produttori maggiormente responsabili anche dello smaltimento degli imballaggi dei propri prodotti. Si tratta, per ora, soprattutto di imballaggi flessibili e di carta ma che rappresentano un cambio di prospettiva rispetto a quanto visto finora. La tassa dei rifiuti, sempre a carico dei cittadini, adesso vede entrare nuovi soggetti: le aziende, chiamate a rispondere delle proprie responsabilità. Soldi che rappresenterebbero un incentivo a trovare nuove forme di riciclo e a finanziare (eventualmente) l’installazione di nuove infrastrutture di riciclo e/o smaltimento dei rifiuti.
Le sostanze tossiche degli imballaggi alimentari
Sembra incredibile ma alcuni packaging alimentari contengono al loro interno sostanze tossiche o plastica. Sempre negli States, Amazon è stata obbligata ad eliminare alcuni prodotti, come i piatti monouso, all’interno dei propri cataloghi alimentari.
l bisfenolo A, gli ftalati, le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) e le diossine sono tra le sostanze chimiche che disturbano i sistemi ormonali del corpo e possono causare cancro, diabete e disturbi riproduttivi e danneggiare il cervello in via di sviluppo dei bambini.
GreenBiz
Insomma, quello del packaging sostenibile non è solo una questione di eticità e rispetto dell’ambiente ma anche di salute. Recenti indagini, ad ogni modo, confermano che i consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità e ad acquistare prodotti di aziende che vi prestano attenzione.
Secondo un sondaggio effettuato dalla European consumer packaging perceptions, due terzi degli italiani vorrebbero delle confezioni più ecosostenibili per i prodotti e l’89% di loro preferisce il cartone alla plastica. Il 55% dei millennial ha dichiarato di scegliere i prodotti con meno packaging. […] La maggior parte dei consumatori italiani eco-friendly, inoltre, è favorevole all’introduzione di una tassa sui materiali non riciclabili utilizzati dalle aziende, per forzare l’adozione di soluzioni di imballaggio più ecologiche.
Green Planner Magazine
Immagine di copertina: Foto di Hello I’m Nik su Unsplash.