Questione Sex Worker: caso OnlyFans e femminismo pro-sex

Come sappiamo fin troppo bene, molti lavori sono stati duramente colpiti durante la pandemia. Molte persone, specialmente donne, hanno perso il proprio lavoro già precario pre-covid, rimanendo a casa senza un sostegno economico.
Ed è qui che molte persone, qualunque fosse il loro genere, hanno trovato possibilità di guadagno in piattaforme come OnlyFans.
OnlyFans è un sito web/app che offre un servizio di intrattenimento tramite abbonamento. Quindi, esattamente come accade con servizi come Netflix o Amazon Prime, attivando un abbonamento si ha accesso preferenziale ad una serie di contenuti. Con l’unica differenza che, nel caso di OnlyFans, i contenuti sono di natura pornografica.

Sex worker su OnlyFans

Molte persone, nei momenti più duri della pandemia, hanno effettivamente pagato l’affitto con i ricavati del loro account OnlyFans. Una situazione (sulla carta) ottimale, in cui si ha un minimo di controllo sui propri contenuti (quindi senza l’intromissione di agenti che, molto spesso, nel mondo del porno possono fare il buono e il cattivo tempo), si decide autonomamente il valore dei propri contenuti e si è al sicuro.

Dico “sulla carta” perché in questo ultimo anno ci sono stati diversi casi di creator stalkerizzati da utenti, alcuni in possesso perfino di informazioni personali. È il classico impasse in cui vanno incontro “social” come anche Facebook e Instagram che, in qualche modo, si lavano le mani davanti a comportamenti sbagliati da parte dei propri utenti.

OnlyFans cresce grazie ai sex worker

OnlyFans, dal maggio 2020, quindi pochi mesi dopo l’inizio dei vari lockdown, ha affermato che «il sito sta avendo circa 200.000 nuovi utenti ogni 24 ore e da 7.000 a 8.000 nuovi creatori ogni giorno».
I contenuti pornografici, quindi il lavoro di milioni di sex worker in giro per il mondo, ha reso OnlyFans uno dei siti più utilizzati e gli ha regalato un successo assolutamente senza precedenti. È divertente, quindi, che da un momento all’altro, mentre i paesi riaprivano e l’app si riempiva di altri tipi di contenuti (come cookblogging o fitness), il sito abbia deciso di proibire sulla piattaforma contenuti pornografici, permettendo esclusivamente l’upload di fotografie di nudi.

Il problema è presto scoperto: le banche vogliono investire in OnlyFans, ma non possono “tollerare” questo genere di contenuti. I proprietari del sito, per non rinunciare a milioni di investimenti, impongono delle limitazioni importanti sulle libertà dei creator. Creator che, ricordiamocelo, guadagnano da questo sito, ma che hanno fatto di OnlyFans quello che è. Senza di loro, e senza questo genere di contenuti, probabilmente sarebbe rimasto solo uno dei soliti social, surclassati da TikTok e Instagram.

La nostra società moralista di stampo cristiano

Qui, ovviamente, ci ritroviamo nella classica retorica che circonda il mondo de* sex worker. Possono stare tranquilli finché fanno comodo e non danno fastidio. Ma nel momento in cui si mettono sulla strada verso qualcosa di migliore, possono essere sacrificati.

Come società di stampo moralista e cristiana, siamo portati a dare una connotazione negativa al sesso e alle donne che lo praticano. Di conseguenza una sex worker, per questa gente, è fondamentalmente l’Anticristo.
L’immaginario collettivo, in un contesto che unisce sesso come servizio e denaro, ha solo due modi di leggere la situazione: le donne sfruttate per soldi dagli uomini e le donne che, di propria iniziativa e con intenzionalità fanno sesso per denaro.
Quindi una “schiava” o una “putt*na”.

Da una parte ci sono le persone sfruttate, che quindi devono essere “salvate” e aiutate. In realtà queste donne raramente vengono aiutate. Vengono solo “tolte dalla strada”, in quanto viste come un’offesa al decoro. Aiutate? Non saprei.
Dall’altra parte ci sono quelle di “alto bordo”, quelle a cui fondamentalmente piacciono i soldi e spennare i “poveri uomini” e quindi anche loro non vanno bene.

Le Swerf

Anche il femminismo passato, non ha trovato spazio al suo interno per le donne che intendevano utilizzare il proprio corpo per sostenersi – come se tutti noi, ogni giorno, non usassimo il nostro corpo e le nostre capacità per portare cibo sulla nostra tavola. Tutt’ora esistono quelle che si autodefiniscono femministe abolizioniste, una branca del femminismo radicale, che in nessun modo mi rappresenta. Ne ho parlato qui riguardo le TERF.

Esistono infatti le SWERF, acronimo di “Sex Worker Exclusionary Radical Feminist“. Cioè quel femminismo che critica e giudica le donne coinvolge in qualsiasi forma di prostituzione VOLONTARIA. Le Swerf non credono, infatti, che una donna possa essere in grado di scegliere, autonomamente e senza coercizione, di offrire servizi sessuali in cambio di denaro.

Le “femministe” abolizioniste parlano AL POSTO delle donne sex worker, non PER loro o per il loro benessere economico, fisico e la loro sicurezza.

Un dibattito che trova le sue radici agli albori del movimento femminista degli anni ’70, in cui non c’era modo di vedere la prostituzione, come qualcosa di volontario. Come ci dice Giulia Selmi, del Centro Studi Interdisciplinari di Genere dell’Università di Torino:

[…] l’analisi della prostituzione elaborata dal pensiero femminista abolizionista ha sostenuto la necessità di fare un bilancio sempre negativo di questo fenomeno. Queste argomentazioni, però, prendono come unità di analisi “le donne” come categoria essenziale, omogenea al suo interno, non scalfita dalle innumerevoli variabili geografiche, culturali, religiose, relazionali, erotiche, fisiche ed economiche che nel nella prassi quotidiana contribuiscono a definire le diverse e concrete esperienze delle donne in carne e ossa. Sicuramente essa esclude quelle donne che lavorano volontariamente nel commercio del sesso e le narrazioni alternative che fanno di questa esperienza

Femminismo intersezionale pro sex workers

Da una strada completamente diversa va il femminismo intersezionale, che invece considera una delle missioni principali quelle di dare dignità e protezione a* sex worker.

Il lavoro sessuale dovrebbe, infatti, essere trattato come qualsiasi altro lavoro. Quindi con delle protezioni e delle iniziative di assistenza e di welfare esattamente come accade per gli altri liberi professionisti. A partire da assicurazioni, versamento dei contributi e versamento delle tasse.

Il motivo per cui questo non accade è a causa della società profondamente moralista in cui viviamo, legata ad un tipo di mentalità cristiana e bigotta, che non vuole vedere * sex worker come lavoratori o meritevoli di dignità, ma preferiscono lasciare il mercato del sesso e della prostituzione in una situazione di limbo istituzionale. Lo stesso, infatti, accade per il mercato delle droghe leggere come la cannabis. La petizione per la legalizzazione della cannabis ha avuto una partecipazione senza precedenti, succederebbe lo stesso per la legalizzazione de* sex worker?

Pensiero monolite

Il limbo istituzionale e la ferma volontà di non parlare di questo argomento è quello che, più attivamente, sta ferendo * sex worker. Dobbiamo smettere di pensare all’industria e al mercato del sesso come ad un monolite, che deve rispondere solo a giudizi come “positivo” o “negativo”.

L’industria del porno può essere per qualcuno uno strumento di forte emancipazione economica, così come può essere un insidioso covo di ragni. Il lavoro sessuale, allo stesso modo, potrebbe rappresentare una situazione di degrado, violenza e sfruttamento. Così anche come un modo per acquistare forza economica, indipendenza e “mettere il cibo sul tavolo” in una situazione come quella in cui si sono trovate moltissime persone, di ogni genere, durante la pandemia.

Link utili di approfondimento:

Il femminismo ha bisogno delle sex worker. Le sex worker hanno bisogno del femminismo

Sex worker rispondono alle abolizioniste: “Esistiamo e prendiamo parola”

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