Quanto ha inciso la pandemia sulla società e sui pregiudizi che abbiamo nei confronti degli altri? Amnesty International ha pubblicato pochi giorni fa il suo quarto report, questa volta concentrandosi sull’odio da pandemia. L’indagine è andata avanti tra i mesi di giugno e settembre 2020 ed ha preso in esame una lunga serie di contenuti (commenti, tweet) diffusi in rete. Nel suo Barometro dell’odio, l’organizzazione no-profit ha misurato l’impatto che le ripercussioni della pandemia sui diritti economici, sociali e culturali hanno avuto sulla discriminazione online.
Il quadro è desolante. I commenti d’odio, raccontano i responsabili del report, sono aumentati del 40%: 1 commento su 10 è offensivo, di natura discriminatoria o riconducibile all’hate speech. I primi contro i quali si sono scatenati gli odiatori seriali sono i presunti untori, ma non solo. Gli stranieri, anche in situazioni che non li riguardano in prima persona (inteso come causa principale del fenomeno), sono le vittime preferite. Ma il Coronavirus ha introdotto una nuova categoria: coloro i quali godono di presunti benefici rispetto alla collettività. Non esistono più categorie escluse. L’odio da pandemia colpisce su tutti i fronti: sessista, omobitransfobico, razzista e xenofobo, islamofobo, antisemita, antiziganista, classista.
Odio da pandemia: non si salva nessuno
Il Barometro dell’odio ha preso in analisi oltre 36.000 contenuti, tra post e tweet provenienti da 38 tra pagine e profili di personaggi della politica, di testate giornalistiche, sindacati e associazioni sui social network sites Facebook e Twitter. Oltre alle categorie indicate in precedenza, gli odiatori di professione della pandemia non hanno risparmiato nemmeno gli operatori sanitari ed i runner (come dimenticare?). Un dato interessante proveniente dal social di Mark Zuckerberg è l’uso della faccina rabbiosa, utilizzata maggiormente dagli utenti in risposta a post di esponenti politici.
All’interno del report, Amnesty International ha incluso anche un approfondimenti titolato “Pandemia, comunicazione, discriminazione” in cui ci si è concentrati sul tipo di comunicazione istituzionale che ha prevalso nella politica nostrana. In parte ne abbiamo discusso anche noi in un recente articolo di Valeria Nigro che potete trovare qui. Le considerazioni espresse su questo blog coincidono con gli studi effettuati sull’odio da pandemia di AI. In Italia ha prevalso una comunicazione di tipo emergenziale che comporta un minore dialogo con i rappresentanti di quei gruppi maggiormente vulnerabili.
Odio da pandemia: l’importanza della comunicazione
Non solo le istituzioni hanno scelto di utilizzare una comunicazione di tipo emergenziale, utilizzando un linguaggio tipico dei corpi militari, di stampo bellico, ma sfociando spesso nell’astrattismo, con un lessico complesso, difficilmente comprensibile ad alcuni strati della società. Informazioni confusionarie, provenienti da più fonti, anche non competenti, in contrasto con loro, hanno generato ancora più sfiducia nei confronti della politica.
Tale tipologia di comunicazione riesce a raggiungere solo una fetta ridotta della popolazione, lasciando indietro i gruppi più vulnerabili e più esposti al rischio di discriminazione sotto diversi profili (fasce poco scolarizzate, comunità con una scarsa conoscenza della lingua, fasce che più di altre hanno scarse competenze digitali o sono colpite dal digital divide).
Amnesty International
Ciò si traduce in una incapacità per queste fasce di popolazione di godere a pieno dei propri diritti ed una diminuzione della percezione della sicurezza. Cosa si può fare? Gli autori del report suggeriscono alcune soluzioni.
Agire contro gli odiatori della pandemia
Contro l’odio da pandemia da Amnesty International propongono tutta una serie di soluzioni: aumentare le campagne di comunicazione e info sui diritti umani con occhio di riguardo ai pregiudizi; aumentare l’alfabetizzazione digitale nelle scuole; campagne di educazione e responsabilizzazione all’uso consapevole della rete; eliminare l’abuso del linguaggio emergenziale; condannare gli episodi con protagonisti discorsi d’odio.
Ma anche i social network dovrebbero fare di più. In primis aumentando la composizione del personale addetto a ricevere le segnalazioni sui discorsi d’odio; intensificare l’attività di monitoraggio; fornire un quadro chiaro sul sistema di segnalazioni. In più auspicano la pubblicazione di un report periodico che misuri la temperatura del fenomeno.
Amnesty International Italia chiede inoltre al Parlamento di approvare, senza ulteriore ritardo, le proposte di legge attualmente in discussione recanti “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità”.
Amnesty International
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