Giornalismo sessista

Mamma e moglie: giornalismo sessista da headline

Come al solito, avevo altri argomenti da trattare questa settimana. Ma poi la dottoressa Andrea Ghez ha vinto il Nobel per la Fisica insieme ai colleghi Reinhard Genzel e Roger Penrose e mi sono voluta dedicare al giornalismo.
Quando la mattina mi sveglio, nonostante io sappia perfettamente che non mi fa bene alla salute, apro la mia app di news e leggo le ultime notizie.
Potete immaginare il mio dolore al petto quando, in un articolo che parla della quarta donna nella storia a vincere il Nobel per la Fisica, il titolo recita: “Mamma e nuotatrice, chi è Andrea Ghez, premio Nobel per la Fisica”.
Ora, chiediamocelo sinceramente. Se a vincere il premio fosse stato un uomo, avremmo mai visto un articolo con titolo “Papà e appassionato del tiro al piattello”? o vedremmo un articolo come quello dedicato ai vincitori del Nobel per la Medicina Charles M. Rice e Harvey J. Alter che vengono chiamati in modo molto figo “cacciatori di virus” o, all’Huffington Post ricevono titoli politically correct come “Nobel medicina alla scoperta del virus dell’Epatite C”.
Oh, ma insomma, me lo volete dire se Charles e Harvey hanno moglie e figli? Ovviamente no.

Anteprima Google dell’articolo dell’Huffington Post su Andrea Ghez

Moglie e madre prima di tutto

Nell’articolo redatto da Huffington Post, infatti, l’autore ci tiene a farci sapere che la dottoressa Ghez è sposata e ha due figli.
Certo, perché questa donna va in giro a trovare i buchi neri, ma la cosa più importante è che sia moglie di qualcuno e madre di qualcun altro.
L’articolo, grazie a dio, cerca di citare (anche per i profani) gli studi che hanno portato questa professionista a vincere un premio come il Nobel, ma lo spirito viene completamente spazzato via dalla necessità, in continuazione, di fare titoli vuoti e senza un senso logico.
Neanche colpa del clickbait qui.

Giornalismo sessista

Lo sappiamo bene che il giornalismo nostrano di lavorare con coscienza non ne ha proprio intenzione.
Possiamo ricordare, sempre nei nostri esempi di giornalismo sessista, il caso di qualche mese che ha riguardato la scienziata italiana, la dottoressa Anna Grassellino, che ad agosto di quest’anno ha ricevuto l’incarico di gestire un progetto al nuovo Fermilab di Chicago. La dottoressa Grassellino avrà, insieme al suo team, il compito di costruire il computer quantico più potente mai costruito.
Ora, io non pretendo di capirne granché, ma mi sembra una responsabilità non indifferente, con un progetto finanziato con 120 milioni di dollari.
Ma non basta.
Per il Corriere della Sera, la dottoressa Grassellino è “Anna”.
Hai presente Anna, no? La cugina di Concetta? Quella che ci ha invitato al matrimonio il 14 di agosto e avresti voluto rigarle la macchina?
E continua ad essere “Anna” per tutto l’articolo. “Anna” si sente molto emozionata, ma sente anche la responsabilità. “Anna” ha iniziato una collaborazione con l’Istituto nazionale di Fisica Nucleare.

“Si chiama Anna” Post del Corriere della Sera su Facebook

Dottore, direttore, Concita

E a quanto pare è un modus operandi dei “giornalisti”, come abbiamo potuto anche vedere in una scenetta televisiva di dubbio gusto su DiMartedì , programma di approfondimento politico di La7 presentato da Giovanni Floris.
In questa occasione abbiamo ospite Alessandro Sallusti, direttore responsabile de il Giornale, il quotidaino che non mi vedrete mai leggere, e Concita de Gregorio, editorialista de La Repubblica e direttrice dell’Unità.
Si parla di Salvini, della Lega, dei sondaggi in discesa, dei 49 milioni di euro spariti nel nulla.

Le solite esagerate

Ad un certo punto Sallusti, che agli altri presenti, compreso il direttore de l’Espresso Marco Damilano, chiama tutti per cognome o con il titolo di “Direttore”, dice di “non essere d’accordo con Concita”.
Al che la dottoressa de Gregorio storce visibilmente il naso e, in quest’occasione, ha potuto parlare a nome di quelle donne che vedono uomini, mi perdonerete la calata dialettale, “mettersi in confidenza” come se niente fosse.
“Mi scusi Sallusti – dice la de Gregorio – ma perché mi chiama per nome?”
Sallusti, che non è il migliore quando si tratta di fare passi indietro, si rifugia nel sarcasmo e nell’attacco.
“Cara professoressa – dice – dimentico che non puoi mischiarti con gli ignoranti.”
Il classico metodo di gaslighting in cui, nel momento in cui non si riesce a reggere una richiesta assolutamente valida da parte di una donna, la si cerca di tirare giù o di farla sembrare una persona “paranoica” o “che se la tira” e a cui “non gli si può dire nulla”, o “che esagera”.

Giornalismo della morbosità

Le donne non sono l’unica categoria di cui, il giornalismo nostrano, non sembra essere in grado di scrivere senza urtarne la sensibilità e la dignità.
Un esempio che mi ha fatto letteralmente accapponare la pelle è stato quello del nuovo consigliere comunale di Firenze e attivista Iacopo Melio.
Il Consigliere Melio si candida con il PD e riceve un numero importantissimo di preferenze durante le scorse elezioni. Fa attivismo da anni, è il promotore di molte lotte civili, è autore di tre libri ed è stato votato da undici mila persone. Ma non è importante tutto questo.
L’unica cosa che sembra importare in questo caso è la sua disabilità. Sì, Iacopo Melio è disabile ed è l’unico motivo per cui, per il giornalista, lui è “Iacopo”, e non il “Consigliere Melio” o qualsiasi altra cosa.
Ed è anche l’unico motivo per cui il risultato finale dell’articolo diventa una grottesca fotografia fatta per i curiosi morbosi.

Etto più, etto meno

Nel titolo si dice che “Iacopo” pesa 25 chili – “etto più, etto meno” – e non sto scherzando. È alto forse un metro e sessanta ed è fortunato perché la sua malattia non è degenerativa.
Qualche accenno sul sostanzioso curriculum di Melio, ma neanche una parola sul suo programma elettorale o su un qualsiasi obiettivo per il futuro come Consigliere.
Ora, io so de Roma, ma se fossi un’elettrice che ha votato per Melio qualche approfondimento lo vorrei, da quel punto di vista.
Melio ci tiene a dire che non è stato candidato o votato perché disabile, “siamo persone, non cartelle cliniche” dice giustamente, ma mi chiedo a quanti neo-eletti questi giornalisti abbiano chiesto il peso e l’altezza.

Giornalismo e comunità LGBTQ+

Anche nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ i giornalisti hanno fatto sfondoni non indifferenti.
Per la fretta, per la necessità di pubblicare prima del competitor, non si danno il tempo.
Il tempo di rileggere, di pensare meglio, di aggiustare quel titolo, di fare un controllo delle fonti in più (se c’è mai stato un controllo fonti).
Un caso evidente è stato quello della vergognosa aggressione di qualche settimana fa ai danni di Maria Paola Gaglione e Ciro Miglione da parte del fratello della ragazza che si è concluso con la sua tragica morte.
La necessità di far uscire la notizia era talmente forte da aver portato a dei titoli imbarazzanti, ignoranti, assolutamente disinformati.
Persino il Gay Center è crollato sotto la pressione, durante le prime ore, descrivendo la vicenda come una violenza nei confronti di una “donna lesbica”.

How to Share With Just Friends

How to share with just friends.

Pubblicato da Facebook App su Venerdì 5 dicembre 2014

Sempre e comunque rompip***e

Nel giro di poche ore però, solo grazie alla mobilitazione della comunità, degli allies, e di chi ha un minimo di sale in zucca, le testate giornalistiche hanno cercato di rientrare nei ranghi.
Ed è quello di cui abbiamo bisogno. Di qualcuno che si “immoli per la causa”. Che abbia il coraggio sul momento, come Concita de Gregorio che, come accade a tutte almeno una volta nella vita, si è trovata davanti ad un comportamento che lei non riteneva consono e ha parlato, invece di incassare e rimanere in silenzio. Anche se questo voleva dire essere bollata come una rompip***e o una presuntuosa.

Il giornalismo italiano ha bisogno di essere sempre tenuto sotto controllo, per permettergli di migliorare e andare oltre le necessità di velocità e di sensazionalismo su cui si basa al momento. Bisogna alzare il livello di accettabilità, perché solo così è possibile anche solo sperare in un miglioramento.

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