male gaze - lo sguardo maschile

Male Gaze: cos’è, dov’è e come viene interiorizzato

Non ricordo, in realtà, di aver mai spiegato il nome di questa rubrica.
La prima parte del nome legge Woman Gaze(tte) sta a rappresentare il mio personale punto di vista sulle cose.
To Gaze significa, letteralmente, fissare, guardare con insistenza.
È quello che devi fare, in qualche modo, se vuoi capire determinate cose o se vuoi analizzare ed, eventualmente, smantellare quella cultura patriarcale che ci riempie di misoginia ormai interiorizzata.

Cos’è il Male Gaze

Ma la sua origine è decisamente diversa ed è quello di cui parleremo oggi.
Il concetto di Gaze viene molto spesso legato a “Male”, cioè maschio.
Il Male Gaze è, letteralmente, lo sguardo maschile.
Per sguardo maschile, però, non si intende solamente l’essere guardate dagli uomini (che affronteremo tra poco), ma il fatto che tutto sia letto attraverso il punto di vista degli uomini.

Questa terminologia nasce in ambito cinematografico. Dopotutto, quando parliamo di registi e registe non possiamo far altro che far riferimento al loro punto di vista.

Male Gaze nel cinema

Nel 1975, la studiosa e cineasta Laura Mulvey nel suo testo Visual Pleasure and Narrative Cinema, parla proprio di punti di vista.
Nota, infatti, che il cinema classico americano ha uno sguardo particolare, attuato da personaggi maschili che molto spesso diventa quasi voyeuristico nei confronti delle donne, oggettivizzandole. E allo stesso tempo permette la possibilità, per l’uomo, di identificarsi nel personaggio attraverso una connessione a specchio che, se ripetuta nel tempo, non fa che modificare la visione che gli uomini hanno di sé.

Parlando nello specifico di quello che lei battezza “Male Gaze”, la studiosa dice:

“lo squilibrio di potere tra i generi al cinema è costruito per il piacere dello spettatore maschile ed eterosessuale perché, in una società di stampo patriarcale, è considerato sempre il primo target di riferimento.”

Il target per tutto

Gli uomini sono considerati, quindi, il target di riferimento e tutto viene fatto a loro immagine e somiglianza e tutte le altre persone sono costrette, in qualche modo, a vedere il mondo attraverso solo ed unicamente i loro occhi.

È questo, ovviamente, il motivo per cui ancora nel 2021 ci troviamo con rappresentazioni di personaggi femminili che ricadono sotto gli stereotipi della femme fatale, o della timorata di dio, o del feticcio.
L’uomo è quello che portava avanti la narrazione, il resto fa da contorno.
Come dice Budd Boetticher, un regista di Western che ha fatto del male gaze la sua gallina dalle uova d’oro:

Quello che conta è quello che l’eroina provoca, o quello che rappresenta. Lei è l’unica, l’amore e la paura che ispira nell’eroe, quella di cui lui deve preoccuparsi, che lo ispira a comportarsi come si comporta. Di per sé la donna non ha nessuna importanza.

Le ricadute nella rappresentatività

Questo, ovviamente, mette un nuovo tassello a quello di cui stavamo parlando settimana scorsa riguardo il cambiamento, previsto per l’edizione 2023-2024, degli Oscar.
Se l’industria cinematografica (quella premiata) viene ancora rappresentata da uomini bianchi, ricchi, etero, come faremo ad uscire dall’impasse della rappresentazione?
Se anche la critica (quelli che decidono chi premiare) sono sempre uomini bianchi, ricchi, etero è ovvio che tutto quello che differisca dal loro modo di vedere il mondo viene penalizzato.
Per un approfondimento, con tanto di esempi, e l’interessantissima rivoluzione del Female Gaze nel cinema vi consiglio questo articolo di Bossy.

Male gaze nella vita quotidiana

Il male gaze, ovviamente, non si riduce solo al cinema. Lo troviamo in televisione, nell’arte, lo troviamo nella pubblicità, nel marketing e anche nella vita quotidiana.

Siamo cresciute vedendo questi film, e non vedendone altri, di conseguenza questo sguardo è dentro di noi.
Non possiamo liberarcene, viene confermato tutti i giorni, ogni volta che accendiamo la televisione o ci azzardiamo a guardare una nuova serie televisiva.
È difficile anche capire di averlo e, quando camminiamo per strada, inconsciamente ci chiediamo se stiamo bene, se siamo presentabili, se siamo attraenti.

Body monitoring

Il continuo chiedersi se i nostri capelli sono a posto, se il nostro mascara è colato, se con questi jeans si vede la pancia o simili è quello che viene chiamato body monitoring.

La prima a parlare di body monitoring è stata Caroline Heldman, accademica dell’Occidental College di Los Angeles, la quale, durante un Ted Talk tenutosi a San Diego, ha spiegato “The Sexy Lie”.
Le statistiche dicono che le donne si auto-monitorano continuamente, una volta ogni trenta secondi secondo la Heldman.
Quindi non serve che un uomo ti stia fisicamente fissando in quel momento (anche se, purtroppo, credo che tutte siamo passate sotto quello sguardo), ma è un qualcosa di interiorizzato.
Le donne eterosessuali fanno di tutto per essere desiderabili, perché la loro desiderabilità va di pari passo con il rispetto che possono ottenere.
Ogni pubblicità che vediamo, ogni prodotto che cercano di venderci è creato ad hoc per piacere a qualcun altro.

Male validation

Quella che viene chiamata male validation poi, è una vera e propria droga, che può compromettere la vita serena di una donna.
La “validazione”, nel senso di approvazione maschile è davvero tragica, perché è subdola e infame.
Quello che possiamo fare è provare a farci attenzione. Provare a renderci conto quando drizziamo la schiena e tiriamo dentro la pancia quando siamo davanti ad un uomo. Quando cambiamo modo di parlare, magari addolcendo la voce. Quando iniziamo ad essere più attente ai nostri passi, a come si muove il nostro corpo.
Tutto questo quello che facciamo per fare in modo di non spaventarli, di avere la loro approvazione, per paura di non ottenerla, per paura di ottenere attenzioni non volute o paura di non ottenere le attenzioni desiderate.

La performance

Come dice Florence Given, in un video che potete recuperare su Instagram:

Un’analogia che uso per descrivere il cambiamento di comportamento davanti agli uomini è come in Toy Story. Come quando c’è il bambino e tutti i giocattoli sono fermi, immobili. Sono dei prodotti, sono fatti per essere usati, alzati, consumati.
Ma quando il bambino se ne va, sono pieni di vita. Sono chiassosi, hanno personalità.
È così che ho vissuto la mia vita per un po’. Tirando dentro la pancia, assicurandomi di sembrare magra e bella, sempre, perché il loro sguardo era su di me.

Non è facile uscirne. È come una droga, bisogna disintossicarsi.
Quello che possiamo fare è iniziarlo a notare. Iniziare a notare quando i film che guardiamo non sono fatti per noi. Quando le pubblicità che ci circondano fanno leva sulle nostre insicurezze per venderci un prodotto e renderci accettabili agli occhi esterni.
Quando modifichiamo il nostro comportamento per piacere, ed essere costrette a tirare su questo teatrino tutte le volte.
È faticoso e le energie ci servono per buttare giù il patriarcato.

Lascia un commento