linguaggio inclusivo

Linguaggio inclusivo: niente da inventarsi, solo da usare

L’argomento di oggi è un po’ ostico. Cioè, in realtà non lo è, ma sicuramente fa discutere. Soprattutto negli ultimi mesi è un tema che, di qua e di là, continua ad uscire fuori sia dal fronte del sì sia dal fronte del no (per rimanere in terminologie referendarie, visto il periodo).
Sto parlando del discorso sul linguaggio inclusivo e sul bistrattato uso dell’asterisco per “neutralizzare” (letteralmente rendere neutri) i nomi.
A differenza di altre lingue, come l’inglese o il tedesco, la lingua italiana non presenta un genere neutro o dei pronomi personali neutri a cui si può fare riferimento nel momento in cui ci troviamo davanti ad una persona che si identifica come gender non-conforming.
Inoltre l’italiano ha quello che viene chiamato “maschile generalizzato” il che sottintende che in momenti di incertezza di genere, va bene utilizzare il generico maschile.
Questo non vuol dire che la nostra lingua sia sessista (nel senso meno polemico del termine), ma che viene utilizzata con una forte impostazione maschile.

Linguaggio inclusivo: il maschile non è neutro

Io ho utilizzato il termine “maschile generalizzato” ma in giro potreste trovarlo come “maschile neutro”. Non c’è niente di neutro, nell’utilizzare il maschile per rappresentare la totalità.
Non c’è niente di neutro nel dire “Uomo” per intendere l’interezza dell’essere umano.
Alma Sabatini, una linguista e femminista italiana, ne parla nel suo libro “Il sessismo nella lingua italiana” pubblicato nel 1986. Un manuale indirizzato non solo agli “intellettualoidi”, ma rivolto agli insegnanti per proporre un linguaggio che avrebbe eliminato gli stereotipi di genere dalla lingua parlata.
Un testo che non condanna, ma indica delle contraddizioni che non vedremmo da soli, e che soprattutto offre delle soluzioni.

Linguaggio inclusivo: l’italiano può

La realtà è che la lingua italiana permette facilmente di rendere “femminili” i nomi. Abbiamo dei suffissi appositi che ci permettono di “femminilizzare” i termini che vengono utilizzati nella lingua comune (quella parlata, non quella corretta) al maschile. Vedi esempi come avvocato, ministro, presidente, ingegnere e molti altri.
Tutti rabbrividivano a sentir solo nominare il termine “ministra” o “avvocata”. Tutti a saltare alla giugulare della Boldrini, quando tirò fuori il discorso in una lettera aperta a colleghi e colleghe.

Suona male?

«Suona male!» dicono. Ma quante parole che oggi giorno sono di uso comune erano cacofoniche durante il loro primo utilizzo? O quante parole che noi utilizziamo nella vita di tutti i giorni provengono dall’inglese?
Se si è puristi, bisogna esserlo fino in fondo.
La Sabatini ci apre gli occhi anche su contro-argomentazioni che, da un punto di vista puramente superficiale, potrebbero essere legittime. Come chi sostiene (anche molte professioniste) che i termini “generici” di avvocato, ingegnere e quant’altro si riferiscano al lavoro e non al genere di chi lo svolge. Secondo la Sabatini si può accettare un discorso del genere in lingue che non fanno un affidamento così importante sulla declinazione di genere, lingue come l’inglese o il giapponese dove il neutro esiste per davvero (ma dove ci sono altri problemi legati alla linguistica inclusiva).

Non si vede insomma per quali motivi non si debbano accettare in vari usi, orali e scritti, anche pubblici quando non ostano particolari difficoltà testuali, almeno le forme la preside, la senatrice, la deputata, la vigile, la notaia, l’avvocata (in francese già in uso une avocate), l ’architetta, l’ingegnera.

Alma Sabatini, “Il sessismo nella lingua italiana”

La lingua cambia

La lingua è un essere vivente a tutti gli effetti. Impara, cambia, si dimentica, si modifica. Quello che oggi ci “suona male” tra pochi anni potrebbe essere assolutamente comune, generalizzato e corrente.
Nel corso degli anni, come ci ricorda anche la boss Martina Shalipour Jafari che nelle pagine social del Reporter cinico porta avanti ogni lunedì una rubrica che si intitola “Le parole hanno un peso”, sono stati fatti enormi passi avanti nel cercare di eliminare dal vocabolario parlato parole che sono intrinsecamente offensive.
Questi cambiamenti, però, raramente sono “spontanei”. Sono la conseguenza di scelte politiche, sociali e personali ben precise che hanno portato a dei risultati che sono evidenti tutti i giorni ma che difficilmente riusciamo a vedere, se non ce li indicano.
Quindi le persone contrarie per principio all’adattamento della lingua in chiave gender-neutral, che si nascondono dietro ad un improvviso purismo letterario o grammaticale in realtà stanno solamente facendo una scelta, quella di rimanere stagnanti per non procurarsi disturbi e rimanere nella propria comodità, a discapito della parità di genere.

Le donne sono arrivate

Ora ora ci siamo. Le donne sono arrivate a ricoprire ruoli importanti nella vita sociale e ad esercitare mestieri in tempi più moderni, rispetto agli uomini che hanno da sempre ricoperto tali posizioni.
Per questo non è cacofonico parlare di ministro, ma lo è se sentiamo la parola ministra.
O non è cacofonico quando diciamo «È un ingegnere!» ma lo è se diciamo «È un’ingegnera!»
Il termine “ingegnere” viene utilizzato come neutro non perché sia grammaticalmente un nome neutro, ma solo perché fino a pochi anni fa le donne non ricoprivano quel ruolo.
Questo vuoto, questa confusione tra causa-effetto, ha determinato orripilanti esperimenti come la donna-avvocato o la donna-ingegnere. Che da una parte ricorda un po’ la formulazione da supereroe alla Catwoman, ma che in italiano fa solo effetto “nomignolo di Sarabanda”.
Ora ci siamo, quindi è necessario un adattamento. Ma non dovete preoccuparvi, la nostra lingua lo permettere, l’unica cosa che dovete fare è utilizzarla.

La questione dell’asterisco

L’asterisco è un escamotage linguistico proveniente, così si dice, dal linguaggio internettiano per evitare fastidiose ripetizioni, come ad esempio “Cari e Care” o “Amici e amiche”. L’abitante di internet non ha tempo da perdere e Twitter, all’epoca, era meno permissivo all’uso indiscriminato dei caratteri. Per questo si recuperava qualcosa con l’utilizzo dell’asterisco.
Ma è molto più di questo.
È un piccolo passaggio per modificare il modo in cui ci esprimiamo e che, per cultura, è binario. L’asterisco può essere un inizio per superare la visione binaria del genere, e permettere una via di fuga alle persone che non sono a loro agio nel sentirsi affibbiato un genere in base alle caratteristiche fisiche.

Linguaggio inclusivo

L’asterisco, per motivi che possiamo facilmente immaginare, è una soluzione che purtroppo si adegua solo al linguaggio scritto e non a quello parlato. È sicuramente un problema per le persone più sensibili alla tematica del linguaggio inclusivo, soprattutto quando la nostra lingua è una lingua flessiva. Qui si potrebbe inserire anche la progressiva “inglesizzazione” del linguaggio gender-neutral che fa storcere il naso a qualche individuo, che anche qui, solo per l’occasione, si riscoprono puristi della lingua italiana.
Il fatto che gli escamotage gender-neutral non ci siano ancora in italiano non dove essere un motivo per arrendersi, ma al contrario bisognerebbe tirare fuori altre opzioni invece di trovare conforto nello status quo.

La lingua può fare magie

Come diceva Albus Silente: «Le parole sono, nella mia non modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo».
Come ci dice Alba Sabatini: «La lingua è il binario su cui viaggia il pensiero».
Ed è vero. La lingua, la cultura, le storie, le metafore, i simboli, i miti costruiscono la nostra intera identità e ci aiutano a sentirci parte di una comunità. Le parole ci caratterizzano agli occhi degli altri, ci definiscono, permettono a noi di definire il mondo, di capirlo, di raccontarlo. E di conseguenza modifica la percezione di noi stessi e degli altri.
Utilizzare un linguaggio più inclusivo modifica anche il nostro pensiero e di conseguenza, a lungo termine, con pazienza ed esercizio, ci porterà ad una società più inclusiva, più dedita alla parità di genere e meno discriminante.
Utilizzare un linguaggio più inclusivo può anche avere un significato filantropico, essere utilizzato per far sentire parte di una comunità (familiare, amicale, lavorativa, relazionale) persone che non rientrano di default nelle categorie socialmente riconosciute.

Cosa possiamo fare nella vita di tutti i giorni?

Fare attenzione. Scegliere delle formule che coinvolgano molto più dei propri colleghi maschi. Non flagellarci quando sbagliamo (stiamo smantellando, mattone dopo mattone, strutture mentali che abbiamo costruito in molti anni. Non possiamo liberarcene dall’oggi al domani), ma neanche assolverci con un’alzata di spalle. Sbagliando si impara. Facendo pratica si diventa perfetti.
Avanti, se c’è l’ha fatta “petaloso”, possiamo farcela tutti.

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