verginità, madonna

L’inganno della verginità: l’ennesimo trucco per controllare il corpo delle donne

Mi dispiace parlarvi di questo argomento proprio nella settimana di San Valentino, quando magari ci sentiamo un po’ più soft e vorremmo parlare di cose soft. Ma, purtroppo, siete nel posto sbagliato.
Oggi infatti vorrei parlarvi di quello che viene chiamato l’inganno della verginità.

La verginità come valore morale

Per millenni, in ogni cultura, in ogni religione, in ogni pezzo di terra nel mondo, il mito della verginità femminile è stato utilizzato come l’ennesimo mezzo per controllare la libertà, la sessualità, la volontà e il corpo delle donne.
Si è voluto dare un significato morale al primo rapporto sessuale di una donna, legandolo alla “perdita” della verginità, la “perdita” della purezza, la “perdita” di un valore come donna e moglie.

Il verginity check

La conservazione della verginità, come un “valore” da proteggere, ha dato il via libera ad una pratica medica che viene chiamata “verginity check”.
In queste situazioni la ragazza viene portata in uno studio medico per controllare lo status del suo imene, una piccola membrana che si trova all’interno del canale vaginale.
Se l’imene c’è ancora, viva dio, sei vergine. Se non c’è, ahi ahi.

Vabbè, direte, saranno pratiche di paesi lontani da noi, paesi che consideriamo retrogradi e basati sul patriarcato imperante. Ed è vero. Ma sono anche pratiche perfettamente normali in paesi occidentali, come gli Stati Uniti, la modernissima Norvegia e la cugina Francia.

Le basi errate della verginità

La questione è che, come ci spiegano meravigliosamente Nina Dølvik Brochmann & Ellen Støkken Dahl in questo TedTalk che vi consiglio con tutto il cuore, il mito della verginità è basato su due incorrettezze mediche che sono state scoperte più di cento anni fa.
Queste “nuove” conoscenze hanno salvato le donne da orribili visite ginecologiche invasive? Hanno distrutto l’idea che la rottura dell’imene, significa la perdita della verginità? Ha protetto ragazze che rischiano di essere ripudiate o uccise se si riscontra una “rottura” dell’imene?

Questi miti, che le dottoresse norvegesi hanno sapientemente distrutto nel TedTalk sono due:
uno, che durante il primo rapporto sessuale vaginale ci debba essere del sangue (sangue sulle lenzuola vi dice qualcosa?) e due che l’imene, una volta rotto, è perso per sempre.
La verità è che il sanguinamento non è obbligatorio. I nostri corpi non sono fatti con lo stampino, quello che vale per una donna potrebbe non valere per un’altra.
La dottoressa Brochmann dice che, secondo i dati parziali che si hanno (chissà perché per le questioni mediche femminili i dati sono sempre “parziali”), metà delle donne della sua audience potrebbe sanguinare durante il primo rapporto, l’altra metà no.

La linea sottile tra la vita e la morte

Potrebbe essere poco importante, per noi. Ma che cosa vuol dire questa cosa per una donna indonesiana, marocchina, che, durante la prima notte di nozze, non sanguina? La risposta facile è solo una: non è vergine.
Questa donna potrebbe essere ripudiata, percossa e uccisa, perché considerata “immorale”.

Come possono essere validi i verginity test?

L’imene, inoltre, potrebbe non rompersi. Potrebbe essere molto elastico, quindi “togliersi di mezzo” durante un rapporto, e poi tornare al suo posto. Di conseguenza, una donna con un imene elastico, ad un verginity check potrebbe sembrare vergine per tutta la vita.
Ma ci sono alcune donne che hanno un imene piccolissimo, o con mille diverse sembianze. In che modo, quindi, sarebbero “sicuri” questi verginity check?

La realtà è che questa è solo un’altra orribile pratica, accettata in ogni cultura del mondo, per degradare le donne, per stabilire il loro valore, la loro utilità.
Da quando siamo piccolissime ci viene inculcata la paura di perdere la verginità, in qualsiasi modo. Posso perderla andando a cavallo? Andando in bicicletta? Con la masturbazione?

Doppi standard

Ai ragazzi viene chiesto di perderla il prima possibile (legata a doppio nodo con la nozione di performatività sessuale maschile), mentre alle ragazze viene chiesta di “conservarla” come un “dono speciale”, da dare a “qualcuno di importante”.

Questo concetto è creato ad hoc per disincentivare la sessualità libera delle donne, che deve essere sempre e per forza legata ai sentimenti, all’amore. Per quanto riguarda i ragazzi, chi capita capita.

Controllo sulle donne

Il discorso sulla verginità, oltre ad essere estremamente eteronormativo, è sessista e patriarcale. Un tentativo religioso di controllare le donne e di sancire l’uomo come l’obiettivo finale.

Dopo che l’uomo ha avuto accesso al tuo corpo (anche qui, un concetto terribilmente eteronormativo) tu non PUOI essere più la stessa. Sei diversa. Il tuo corpo è diverso. Insomma, prima avevi un pezzo, ora non c’è più perché “un pene è passato di qui”.

E se ne è passato più di uno, Dio ti salvi, perché le conseguenze sono orribili.
Slut shaming, doppi standard riguardanti la sessualità femminile. Le brave donne faranno la faccia sconvolta, ti chiameranno “facile”. Gli uomini saranno intrigati, ma non ti presenteranno a “mammà”, perché vogliono una sorta di Madonna.

La verità è che non si può capire la storia sessuale di una donna guardando le sue parti intime. La verità è che il sesso è una parte importante della vita, ma non è in grado di cambiare la personalità di una donna, di intaccare il suo valore. È un “di più”, non un “di meno”.

La carne scontata

Solo qualche anno fa in Italia era ancora valido il matrimonio riparatore.
Se una donna veniva violentata (quindi sverginata), smetteva di essere materiale pregiato. Veniva considerata carne scontata, svalutata, di poco conto. Di conseguenza nessuno avrebbe più voluto sposarla e, piuttosto che tenerla a casa svergognata e zittella, la si dava in sposa al suo violentatore.

La legge è stata abrogata solo nel 1981, grazie a donne come Franca Viola che nel 1965, dopo essere stata violentata da un mafioso, ha rifiutato di sposare il suo aguzzino, con testa alta e un coraggio da leoni, rivendicando il suo valore come persona, come donna, anche dopo la violenza.
E grazie anche a genitori come Bernando Viola, che andando contro a tutto quello che gli era stato insegnato, contro la sua cultura patriarcale e religiosa, mettendo l’amore per la figlia sopra il rifiuto sociale della città siciliana, le è stata accanto.

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