L’argomento di cui vorrei parlare oggi è sicuramente uno dei più controversi e divisori, all’interno della filosofia femminista: la pornografia.
Mentre il femminismo degli albori, quello OG degli anni ’80, è molto spesso legato ad una visione anti-porno molto netta, quello degli ultimi anni e quello intersezionale si dimostra aperto e sex positive.
Femminismo anti-pornografia
Il femminismo anti-pornografia, sostiene che la pornografia sia dannosa per le donne, perché non solo costringe le donne, attraverso coercizione fisica, economica o psicologica, a prestarsi agli atti pornografici ma, a lungo termine, andrebbe anche a modificare il modo in cui uomini e donne vedono la sessualità.
Il punto però, sta nel fatto che per questa ondata di femminismo originario, il porno è intrinsecamente abusivo. Non c’è nessun tipo di porno che non sia a “discapito” delle donne e a favore degli uomini.
La donna vanilla
Per quanto alcune parti di questo discorso non siano assolutamente campate in aria, anzi, questo modo di pensare affonda troppo le radici nella gabbia della donna-angelo.
La donna viene vista come colei che subisce perché è così che viene visto il sesso in generale. L’uomo è quello che lo cerca e ne ha bisogno, la donna è quello che lo subisce e lo fa con uno spirito di abnegazione da martirio e santificazione.
Ovviamente, come abbiamo già detto in questo articolo, dobbiamo lasciarci alle spalle questa idea della donna assolutamente priva di volontà e desideri sessuali e iniziarla a vedere come un essere umano.
Le donne hanno imparato a nascondere quella parte di sé perché mentre gli uomini vengono esaltati per la loro “volontà sessuale”, le donne ne vengono colpevolizzate. E il fatto di non farsi vedere troppo interessate al sesso non è altro che l’ennesimo escamotage che il nostro istinto di sopravvivenza ci suggerisce.
Femminismo sex positive
La nuova ondata di femminismo, invece, è estremamente sex positive. Non solo nei confronti del sesso behind close doors, ma anche di quello pubblico e di servizio.
Uno dei punti fondamentali infatti di questo tipo di femminismo, è quella di inclusione delle sex workers in tutte le sue forme.
La pornografia e la prostituzione sono considerate delle scelte…
Mettiamo un attimo in pausa e parliamo della prostituzione abusiva, cioè quella legata al sex slavery che è ben diverso. Sappiamo che è un mondo terribile e ci sono associazioni che lavorano ogni giorno per aiutare queste donne. Non è un caso, infatti, che le femministe pro-sex workers siano a favore dell’apertura di “case chiuse”.
Quale modo più sicuro per permettere a queste donne di lavorare in sicurezza fisica, sanitaria ed economica?
Rivendicazione e autodeterminazione
Stavo dicendo? Sì, la scelta. L’autodeterminazione è sempre alla base di ogni tipo di femminismo, quindi perché la pornografia o la prostituzione dovrebbero essere differenti?
Però, andiamo per gradi.
In nessun modo si può ignorare o minimizzare il peso sociale che la pornografia ha avuto sullo sviluppo sessuale di intere generazioni.
La pornografia, con l’avvento di internet costante e a banda larga, è diventato il primo assoluto touchpoint dei giovani con il sesso. Possiamo anche nasconderci e parlare dei cartelloni della Calzedonia o chi per lei, ma sapete benissimo che non è vero.
Male Gaze
Un’altra cosa su cui non ci dovrebbe essere alcun dubbio è che il porno mainstream è caratterizzato dal male gaze, lo sguardo maschile.
La donna è quella al centro della scena, l’uomo non è altro che un accessorio a cui sono chiese ben poche cose.
Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni si sia venuto a sviluppare quello che viene chiamato feminist porn, il porno femminista.
Vi ho spaventati? Non temete.
Il porno al femminile non è altro che un modo diverso di vedere la medesima cosa. Non vuol dire che ci sia solo sesso vanilla, né che si fa più attenzione alla trama (in realtà sì, però), ma è un tipo di industria in cui il focus non è solo e unicamente il piacere maschile e in cui il consenso è esplicito e fondamentale.
In questa industria attori e attrici sono pagati equamente ed hanno una chance anche persone che non rispettano necessariamente lo stereotipo dell’uomo fisicato e superdotato e della Barbie sexy e longilinea.
È un tipo di industria che, idealmente, non si basa sulla feticizzazione delle caratteristiche fisiche, che troppo spesso diventano delle categorie disumanizzanti.
Il famoso guilt cristiano
Non posso mentire, cercare di guardare a questo argomento con occhi scevri di pregiudizi non è affatto facile, a causa delle recondite e fortissime radici cristiane che, per quanto io sia atea, affliggono anche me come questo intero Paese.
Non è la rappresentazione delle donne nel porno che ci disturba, ma è l’idea che il sesso sia di per sé sporco e porti un significato profondo che non fa che rappresentare la persona.
A riguardo riporto una citazione di Virginie Despentes dal suo King Kong Theory, assolutamente illuminante.
[le donne] le sappiamo sufficientemente agguerrite per capire che una messainscena sadomaso non implica che desiderino essere prese a frustate appena arrivano in ufficio, né imbavagliate quando lavano i piatti. In compenso, basta accendere la tv per vedere donne in posizioni umilianti.
Questo ci porta ad un altro argomento estremamente importante.
Nello stesso modo in cui è una scelta entrare nel mondo del porno (scelta che molto spesso si fa da molto giovani, in un momento in cui potrebbe essere un modo per fare soldi facili) è una scelta uscirne.
Ma potrebbe non essere così facile, quando sei una donna.
Diciamo la verità, se uno di questi maschietti utilizzati per il porno decidesse di lasciare l’industria e darsi alla famiglia nessuno batterebbe ciglio.
Molto diverso, però, è se a farlo è una donna.
Alle donne difficilmente viene data la possibilità di reinventarsi. Come dice la Despantes, dalla sua esperienza da sex worker, per loro “non ci sarà nessuna riconversione professionale”.
Le problematiche dell’industria pornografica
Un problema fondamentale dell’industria del porno è che non viene regolarizzata abbastanza, per la volontà ostinata di non vederla come un’industria vera e propria, che ha quindi bisogno di regolamentazioni serie.
E che è un luogo di lavoro come un altro, che tende ad essere assolutamente tossico e degradante e che spesso fa leva su persone giovani che non sanno di meglio. Tutto questo nella totale indifferenza delle istituzioni.
Le condizioni di lavoro di queste attrici sono aberranti (trigger warning per il link: linguaggio forte, esplicito, violenza, abuso sessuale), così come i contratti che si trovano a firmare e l’assoluta perdita di ogni diritto sulla propria immagine.
Il caso Mia Khalifa
Un esempio tristemente noto, ormai, è quello di Mia Khalifa. Entrata nel mondo del porno appena maggiorenne, è passata al top delle ricerche per una scena girata indossando l’hijab, il copricapo delle donne musulmane.
Nonostante Khalifa fosse cattolica, al “regista” non importava e, nonostante le sue proteste, fu costretta a girare la scena. L’inizio della fine per lei, che ricevette minacce da tutto il mondo, persino dall’ISIS.
Questa, oltre alle terribili condizioni di lavoro di cui ha parlato in diverse interviste, l’hanno convinta ad abbandonare le scene.
Qualcosa di facile? Assolutamente no.
Ogni sua richiesta di rimuovere i suoi video dai motori di ricerca (diritto all’oblio, are you there?) non faceva altro che riavviarne la ricerca. Tanto che a metà dello scorso anno è stata avviata una petizione online per rimuovere i suoi video da internet, che ha ricevuto più di 1 milione e 700.000 firme.
Questo aiuto esterno però, è arrivato dopo anni in cui la ragazza ha cercato in tutti i modi di far sentire la propria voce. Per ricevere in cambio una serie di “hai voluto la bicicletta, ed ora pedala“. Della serie, va bene utilizzarti per il mio piacere personale, ma non ti rispetto abbastanza da crederti.
Cornuta e mazziata? Sì, perché nella sua breve carriera pornografica Khalifa ha girato 11 scene, guadagnando un totale di 12.000 dollari.
La casa di produzione, ci guadagna ancora oggi.
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