Lavoro

Lavoro, come fuggire dai venditori di fumo nell’universo della rete

Il re Leone è senza ombra di dubbio uno dei miei cartoni preferiti. Hai presente quel momento in cui Mufasa spiega a Simba che ciascuno di noi è parte del cerchio della vita? Quel grande disegno in cui l’esistenza è regolata da fasi: nasci, cresci, muori. Beh, probabilmente il cerchio deve essere finito in una buca perché qualcosa si è inceppato. Per parafrasare in chiave moderna il concetto del classico Disney potremmo riassumere l’esistenza al giorno d’oggi con un: “Nasci. Cresci. Studi. Non trovi lavoro perché non hai esperienza. Non hai esperienza perché non hai lavorato. Non capisci. Ti deprimi. Muori”. (Unofratanti, Twitter) Troppo severa? Facciamo il punto insieme.

Il cortocircuito del lavoro in Italia

La crisi scaturita nel 2008 con il fallimento della Lehman Brothers ha scombussolato le carte in tavola non solo negli Usa. Come nel domino, si è scatenata una reazione a catena che ha coinvolto anche l’Italia dalla quale stentiamo ancora a riprenderci. Il mondo del lavoro è stato il primo a farne le spese. Sono dieci anni che sentiamo parlare di crisi, di aziende chiuse, dipendenti licenziati, imprese disclocate e di disoccupazione giovanile. Adesso è entrato in scena anche il coronavirus. E la domanda sorge spontanea: che ne sarà di noi? Tuttavia dalle situazioni di crisi c’è sempre qualcuno pronto a guadagnarci. Non ci credi? Ti racconto un episodio realmente accaduto.

Venditori di fumo

Qualche mese fa ho risposto senza troppo entusiasmo ad un annuncio online. “Sarà l’ennesimo invio senza risposta”, pensai. E invece dopo nemmeno due ore una telefonata mi annunciava che ero convocata in sede per un colloquio, due giorni dopo. Non ci potevo credere. Il primo colloquio dopo mesi di silenzio. Ma di cosa si trattava? L’annuncio dichiarava “addetto al marketing” ma nulla di più specifico sulle mansioni da svolgere. Il giorno dell’appuntamento mi presento munita di curriculum e di tante speranze. Poco dopo, entrando nell’ufficio del responsabile delle risorse umane, mi viene spiegata la procedura. Si inizia con un periodo di formazione, da uno a tre mesi, che consiste nell’andare in giro ad effettuare campionamenti con un supervisore. “Va bene. Sposano la filosofia del partire dal basso”, pensai in quel momento. Ma alcuni dettagli mi avevano messo in allerta: non una domanda sul cv?

L’epilogo

Tornata a casa cercai di informarmi online (cosa che avrei dovuto fare prima). Sul sito sfilano una lunga serie di video riassumibili con: “Siamo bravi e belli. Lavorare con noi vuol dire crescere in un ambiente meritocratico”. Idem per le recensioni sparse sul web, ovviamente tutte di dipendenti super felici. Poi finalmente mi sono imbattuta in qualcosa di non preconfezionato: commenti di chi aveva partecipato alle selezioni prima di me. Cosa viene fuori? Non c’era nessun posto di addetto al marketing ma solo la splendida prospettiva di lavorare come porta a porta. Caduti nella trappola anche coloro che si erano candidati come magazzinieri o addetti alle risorse umane. Ora tu dirai, “cosa c’è di male nel porta a porta”? Assolutamente nulla, ma attirare nella propria rete e con l’inganno persone che hanno bisogno di lavorare lo trovo davvero meschino. A te è capitato qualcosa di simile?

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