Quando, in pubblico, metto a disagio le persone parlando di tematiche femministe, quando finisco per far vedere loro quanta misoginia e patriarcato sia intessuto nelle proprie parole, la maggior parte si pone sulla difensiva. Per questo volevo parlare del “politicamente corretto”.
Lo fai così spesso, vi chiederete. No, in realtà. L’inibizione è arrivata anche per una rompiba***e come me.
L’amico del tuo ragazzo che alza gli occhi al cielo. L’unica femmina al tavolo che si guarda intorno guardinga e fa battute random perché non vuole essere associata alle tue idee per similarità di genere. Il tuo ragazzo che ti lancia quello sguardo. Avete presente quello sguardo che vi lanciava vostra madre quando facevate macello mentre lei cercava di avere una conversazione tra adulti?
Ecco, quello sguardo. Quello della serie: non ti posso dire che ti stai accollando, ma te lo faccio capire.
Non si può dire più niente
La gente si mette sulla difensiva, dicevo. Sì, ti dirà che “non è così serio”, quello che ha appena detto. Che “ha fatto solo una battuta”.
Ci sarà quello che ti dirà “Oh, non si può più dire nulla”.
No, in effetti, se ogni cosa che ti esce dalla bocca ha una connotazione misogina, razzista, omofoba, tranfobica etc. No, preferirei che tu stessi in silenzio per sempre.
Poi c’è quello che si nasconde dietro il black humor. Oh, quello, è il peggiore.
Chiariamo, appellarsi al black humor non ti dà il via libera per fare battute misogine e razziste, perché non è quello il punto del black humor.
Certo, troverai sempre qualche fesso che ti viene dietro e ride, ma questo non fa di te Ricky Gervais o Luis CK.
Non fa ridere
Non rido a battute palesemente misogine. Neanche a quelle razziste. Mi capita di non ridere a battute omofobe, transfobiche. Mi capita di non ridere a battute non divertenti, ma che hanno solo lo scopo di prendere in giro una categoria di persone e non per esorcizzare taboo e svelare le ipocrisie.
La nazifemminista…
La gente va sulla difensiva, dicevo.
Sono nati così dei tormentoni che ogni tanto ci troviamo attaccati addosso e che vengono utilizzati impunemente dagli abitanti di internet (coff-coff Facebook coff-coff). Nazifemminista, buonista, moralista, perbenista…
Tante micro-aggressioni che vengono portate avanti tutti i giorni sui social da persone che vogliono il nullaosta per continuare a dire falsità, a insultare intere categorie, a ragionare per luoghi comuni, per imporre la propria esperienza personale come una verità inconfutabile.
Espediente retorico
Non è altro che un espediente retorico utilizzato da persone ideologicamente prepotenti, che si appellano alla libertà personale, anche se questo significa limitare la libertà altrui. Che parlano di libertà di espressione, senza capirla davvero. Quelle persone che hanno il coraggio di parlare di censura, come se quello che dicono sia assolutamente rivoluzionario, importantissimo, che fa paura ai “potenti”. Essere politicamente corretto significa essere schiavi di qualcosa o qualcuno.
Il politicamente corretto e gli Oscar
Un caso abbastanza recente che ha portato nella sezione dei commenti tutti i “politicamente scorretti” è stato, ad esempio, la notizia riguardo il cambiamento delle regole per la selezione dei film nella rosa degli Oscar.
Qui, tutti gli “scorretti” sono diventati esperti d’arte, di cinema, paladini della protezione della settima arte.
Un tumulto di persone impazzite nei commenti, che si lamentavano di come questi cambiamenti nei regolamenti avrebbero danneggiato irrimediabilmente la meritocrazia, senza prendere in nessun modo in considerazione che la strada per arrivare ad essere candidati è lunga e tortuosa. Ed è una scelta che, per la maggior parte delle volte, è in mano ad una élite bianca e privilegiata che fa da gatekeeper ad ogni tipo di meritocrazia.

Per chiarire in modo indissolubile il punto di questo articolo utilizzerò le parole di Nesrine Malike, la giornalista sudanese del The Guardian, che dice:
Il mito di un politicamente corretto che sacrifica il libero pensiero per uniformarlo all’eccessiva sensibilità verso il genere, la razza e l’orientamento sessuale è il più vecchio e certificato dei miti politici contemporanei […]. Lo scopo di questo mito è di minare ogni sforzo di cambiamento, presentandolo come un sabotaggio, un attacco a una società che è fondamentalmente sana e non ha bisogno di essere riformata.
In realtà, è solo un altro modo per continuare a dire quello che si vuole, senza preoccuparsi delle conseguenze.
La manipolazione del politicamente “incorretto“
Inneggiando al libero pensiero, alla libertà d’espressione. Prendendo in giro la “troppa” sensibilità, e l’incapacità di prenderla “scialla”. Così giornali imbarazzanti come Libero, possono permettersi di scrivere una headline come quella di questa settimana (ma in realtà ce ne sono moltissime, troppe) che descriveva la neo Vicepresidente degli Stati Uniti d’America Kamala Harris, come “la vice mulatta”. E per lo stesso motivo poi ci troviamo il vergognoso Pietro Senaldi che invoca al “controllo della lingua e del pensiero” di George Orwell in “1984”, perché in fondo la Harris è “davvero mulatta”.
Nonostante sia chiaro (o forse non lo è) che il termine mulatto non è assolutamente accettabile e che in nessun modo è associabile al termine inglese che Senaldi richiama, cioè “mixed race”, siamo davanti ad un nuovo tentativo di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica (debole) da un episodio gravissimo, con le chiacchiere.
La scusa dell’essere contro il politicamente corretto è quello che porta gli “scorretti” a rifiutare la rappresentazione delle persone LGBTQ+ nei media perché “ormai sono ovunque”, “questa è propaganda gay”, qualsiasi cosa voglia dire.
La scusa dell’essere contro il politicamente corretto fa vedere il “semplice” atto della blackface come una cosa divertente, e non come un atto riprovevole utilizzato nel corso degli anni per ridicolizzare una categoria di persone da sempre sottorappresentate o rappresentate male.

La “cancel culture”
L’avversità contro il politicamente corretto ha offerto anche delle chiavi di lettura che non fanno che distorcere e manipolare.
È il caso della “cancel culture”. Cos’è, vi chiederete.
La cancel culture rappresenta una forma di boicottaggio mediale nei confronti dei personaggi famosi che si sono macchiati di comportamenti problematici. Per cancellati si può intendere ignorati, attivamente boicottati anche attraverso richieste di sanzioni da parte delle “autorità” del campo.
Affrontare le conseguenze
Molte star sono state vittime della cancel culture, che ha portato loro ad essere abbandonate da brand per cui erano testimonial, oppure a perdere contratti di lavoro per libri o film.
Sono i privilegiati, quindi, a soffrire della cancel culture. Privilegiati che, per una volta, vengono chiamati alle conseguenze delle loro azioni e vengono toccati lì dove sono più fragili: il denaro.

Donald Trump, capo manipolatore
Non è un caso che il 4 luglio 2020 il, grazie a Dio, ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante il discorso in occasione del Giorno dell’indipendenza, abbia detto:
“Una delle loro [progressisti] armi è la cultura della cancellazione, che fa perdere il lavoro alle persone, umilia chi dissente e pretende totale sottomissione da chi non è d’accordo. Questa è la vera definizione di totalitarismo, ed è completamente aliena alla nostra cultura e ai nostri valori e non ha alcun posto negli Stati Uniti d’America. Questo attacco alla nostra libertà e sarà fermato molto velocemente. […] Nelle nostre scuole, nelle nostre redazioni, persino nei consigli di amministrazione delle aziende, c’è ora un fascismo di estrema sinistra che pretende assoluta obbedienza. Chi non parla il suo linguaggio, non pratica i suoi rituali o non recita i suoi mantra ne segue i comandamenti viene censurato, ostracizzato, messo all’indice, perseguitato e punito. Questa rivoluzione culturale della sinistra è progettata per sovvertire la Rivoluzione Americana. […] Per renderlo possibile, sono determinati a buttare giù ogni statua, simbolo o memoria della tradizione di questo paese.
Trump è l’esempio perfetto di come urlare alla libertà di espressione quando si dicono (e si fanno) le cose più orribili diventi uno strumento di manipolazione totale.
Quindi, a questo punto, io dico lunga vita al politicamente corretto. Lunga vita al rispetto nei confronti del prossimo, lunga vita al contraddittorio per crescere e non per vincere.
Lascia un commento