Questo è quello che ho letto sullo schermo del mio cellulare in risposta ad una story di Instagram in cui documentavo la lettura del libro di Florence Given, Women don’t owe you pretty.
La mia storia diceva: “Refuse to find comfort in other women’s flaws”.
Che in soldoni significa: non trovare conforto nei difetti delle altre donne.
Mi sono dovuta sorbire una tiritera di un uomo su quanto sia normale, per le donne, buttarsi giù a vicenda per avere più possibilità con il maschio alpha della situazione. Che non esiste la misoginia interiorizzata, che non proviene da nessun tipo di cultura, ma che è solo “normale competizione intrasesso che si osserva in ogni specie”.
È mio comune pensiero quello che, mentalmente e psicologicamente, ci siamo evoluti ben oltre i discorsi sulle differenze di specie. Ma quello che scotta è il rifiuto totale di vedere come la cultura patriarcale abbia degli effetti così forti che anche le persone oppresse finiscono per salire sulla barca dell’oppressore. Ma andiamo per ordine.
Cos’è la misoginia interiorizzata?
La misoginia interiorizzata è quel processo secondo cui una donna proietta verso se stessa o altre donne le pratiche oppressive che la società, di stampo patriarcale, spinge su di noi.
Un esempio dal reale arriva dalla mia boss Martina Shalipour Jafari che, a inizio settimana, mi invia uno screenshot che, ancora una volta, finisce per stravolgere quel becero tentativo di schedule che cerco di dare a questa rubrica.
Una ragazza, su LinkedIn, si lamenta di ricevere giornalmente messaggi di uomini ben poco interessati a lei dal punto di vista professionale, ma che le chiedono appuntamenti, foto e quant’altro. Dice che ha imparato a ricevere messaggi violenti in seguito ad un rifiuto (l’hanno chiama p*****a presuntuosa) e che “se hai i capelli rossi, ci stai”.
Nei commenti, una giovane ragazza, le dice di non essere d’accordo con lei e che, forse, i messaggi che riceve sono a causa della sua foto profilo che, a suo dire, “non aiuta”. Non possiamo far vedere la foto della ragazza, ma, vi posso assicurare, è un bel viso incorniciato da ricci rossi e null’altro.
La risposta dell’autrice del post è elegante e comprensibile.

Victim blaming dalle donne
È proprio a causa dell’assuefazione a questi concetti che, a volte, sono proprio le donne a macchiarsi di victim blaming . Donne che, si pensa, possano entrare in empatia molto più naturalmente con un’altra donna. Ma sappiamo che non è sempre così.
Come in questo caso, dove si riesce persino a colpevolizzare una donna per aver lasciato il marito e in qualche modo far ricadere su di lei la colpa della morte dei suoi figli, avvenuti per mano del padre.
In realtà, le donne delle culture occidentali, anche se non oppresse nel vecchio metodo, hanno interiorizzato un vero e proprio ruolo da capri espiatori sociali. Delle persone da incolpare nel momento in cui ci troviamo davanti ad un atto abominevole, come quello di un padre che uccide i propri figli.
Se l’uomo stupra, è colpa della donna.
Se l’uomo uccide, è perché la donna ha fatto qualcosa per “innervosirlo”.
Se l’uomo uccide i propri figli, è perché è stato piantato.
Se l’uomo picchia la donna, è perché è stato provocato.

Eva contro Eva
Ma perché quanto tutto sembra essere buttato sulle nostre spalle, troviamo nelle altre donne delle nemiche “naturali”? Perché alcune donne sento più naturale l’istinto a porsi contro le altre donne?
A volte è solo questione di educazione e ignoranza.
Sono spesso le donne che si rendono responsabili di slut-shaming, body-shaming, di giustificare atti ingiustificabili degli uomini addossandoli ad un comportamento femminile.
Siamo state tutte colpevoli di misoginia interiorizzata, ne sono sicura. Tutte abbiamo detto, ad un certo punto della nostra vita, che “Io non sono come le altre ragazze”, senza davvero pensare a che cosa volesse dire intrinsecamente quella frase.
Perché sentiamo il bisogno di metterci in una posizione di superiorità in confronto ad un generico gruppo di persone chiamato “ragazze”?
Lo facciamo perché forse ci hanno inculcato degli stereotipi che sono più vicino alla donna prototipo amata dagli uomini? Non essere troppo frivola, non essere troppo arrabbiata, non essere troppo incisiva, non essere troppo difficile, non essere troppo.

Una costante?
E la misoginia interiorizzata rimane costante, nella nostra vita, ogni volta che giudichiamo una donna per le sue scelte, che siano nell’abbigliamento o nella sessualità.
Fermiamoci a pensare. Forse odiamo nelle altre donne quello che vorremmo avere per noi stesse? Che sia un tipo particolare di fisico, o di capacità di relazionarsi con gli uomini o con le persone in generale?
L’attacco è la miglior difesa, sempre, soprattutto quando ci sentiamo attaccate a nostra volta. Ma è solo nella nostra mente. Un brainwashing del patriarcato sul quale bisogna lavorare ogni giorno per estirparlo.
Da dove iniziare?
Impariamo ad utilizzare le altre donne come un’ispirazione.
Se vediamo una donna che cammina per strada con una gonna corta, o un mini-shorts, il primo istinto potrebbe essere quello di fare commenti (mentali o non) sul suo corpo, o giudicarla per il suo modo di vestire “succinto”, oppure possiamo pensare che quel capo d’abbigliamento è davvero carino e che probabilmente quello è il motivo principale per cui è stato indossato.
Dobbiamo ricordarci, sempre e comunque, che un capo di abbigliamento è solamente un capo di abbigliamento, ed è la società patriarcale a dargli un significato.

Oppure…
Vediamo per strada una donna di mezza età che mostra un vestito corto? Potremmo pensare che sia troppo grande per utilizzare un vestito così corto, che ad una certa età non è più ammissibile vestirsi così. Oppure possiamo pensare che quella donna ha raggiunto un’età e una consapevolezza del proprio corpo che dovremmo aspirare ad acquisire durante la nostra vita (qui un interessante articolo sull’ageismo e come sia parte integrante della lotta femminista.)
Incontriamo una donna per strada che sceglie di coprire il proprio corpo, con degli indumenti “normali”, oppure con un’hijab? Sono molti i pensieri che vi potrebbero solcare la mente, tutti problematici su diversi livelli, ma si può scegliere di pensarli e rifiutarli, attraverso la consapevolezza. Si può pensare che quelle donne non stiano rigettando la loro femminilità, la stanno solo vivendo in un modo diverso che è altrettanto valido.
Combatterla giorno per giorno
Si potrebbe andare avanti per sempre a fare esempi, ma quello che voglio dire è che va tutto bene. La misoginia interiorizzata è un qualcosa che tutti abbiamo insita, come la lingua, l’educazione, le pratiche sociali.
Ma dobbiamo combatterla, giorno per giorno. Appellare ogni pensiero che ci sorge spontaneo e metterlo in discussione, chiedendoci il perché, il vero perché, e poi sostituirlo con qualcosa di positivo.
Il patriarcato ferisce anche gli uomini
Ma come ci tengo sempre a far capire, il patriarcato non lavora in modo subdolo sulle donne, non ferisce solo le donne, ma anche gli uomini.
Il sessismo interiorizzato ferisce gli uomini, che vengono tenuti sotto scacco da donne e uomini pronti a giudicare il loro comportamento.
Un esempio lo possiamo trovare in uno screenshot qui sotto.
L’idea del vero uomo, che non deve chiedere aiuto, che se la deve cavare da solo, che deve portare il cibo in tavola, che non può crollare, è un’idea che proviene dalla società patriarcale.
È il motivo per cui il livello di suicidi negli uomini è più alto. Perché gli uomini non chiedono aiuto per paura di risultare deboli.

Il maschilismo, il sessismo, il corollario di idee di stampo patriarcale ferisce tutti, come al solito.
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