La sindrome dell’impostore, dall’inglese impostor syndrome, o anche impostor phenomenon è uno schema, un modello psicologico, studiato nel 1978 da due psicologhe, Pauline Clance e Suzanne Imes.
Il sintomo principale di questa sindrome è la terribile e costante sensazione di non essere all’altezza, di sentirsi inadeguati. Dubitare costantemente delle proprie capacità, fino a vivere con il terrore che, prima o poi, le persone con cui lavori, si rendano conto che sei un* imbroglion* e che non ti meriti nessuno dei tuoi successi.
E quando l’impostore si trova davanti ai propri successi, non fa altro che attribuirli ad una causa esterna al sé. “Sono stat* fortunat*”, “Mi hanno aiutat* molto”, “Non è niente di che”.
Quando invece si trova davanti ad un proprio fallimento, è ovvio che la colpa risiede nei suoi gesti, nel sua impreparazione, nelle sue mancanze.
La sindrome dell’impostore non è considerata un disturbo mentale a tutti gli effetti, ma ha spesso una correlazione con i disturbi da stress, ansia patologica e depressione.
Sindrome al femminile
Non è un caso, inoltre, che le Clance e Imes abbiano portato avanti la loro ricerca con un campione femminile.
Questa sindrome, infatti, è da sempre associata alla figura della donna lavoratrice, persino della donna lavoratrice di straordinario successo ed è da lì che le ricercatrici sono partite.
Nell’abstract della loro ricerca dichiarano che l’incidenza di queste modalità di pensiero è maggiore tra le donne, soprattutto quelle più di successo. Ne ritrovano le cause nelle dinamiche familiari che possono essere diverse e agiscono in modo diverso, ma hanno simili risultati. E nella costante interiorizzazione di stereotipi o aspettative legate al genere.
Boy or…
È soprattutto durante il percorso accademico che molto spesso questo genere di disturbo si va a consolidare. Secondo una ricerca di Key Deaux e Elizabeth Farris i ragazzi tendono ad attribuire le cause del proprio successo a delle forti spinte interne. Quindi alla propria intelligenza, al proprio impegno, al proprio input. Mentre attribuiscono i loro fallimento alla sfortuna, o all’eccessiva complicatezza del compito che viene loro richiesto.
Questo perché, in un contesto molto americano, si tende a “pompare” il giovane maschio, cercando di costruire la sua “self-confidence” abbastanza da rispondere alle richieste della società.
Girl?
Le ragazze invece, possono trovarsi in una famiglia che predilige strade diverse per le donne. Di conseguenza la necessità di essere eccellente nel percorso accademico diventa un metodo di riscatto e di convincimento per i genitori. Della serie “Vedete, sono brava anche io”.
Oppure trovarsi in una famiglia in cui si passa il messaggio del “Puoi fare tutto quello che ti metti in testa”, senza ovviamente prendere in considerazione le varie situazioni di discriminazione o di “rallentamento” della vita di una donna. Questo lavora in modo contrario. La ragazza a cui è stato detto che “può fare qualsiasi cosa” trova ostacoli sul proprio cammino e invece di dubitare del sistema (che è molto complesso) dubita di se stessa (perché è più semplice).
La “donna instancabile”
Non possiamo avere il controllo su tutto quello che ci circonda. L’unica cosa su cui possiamo avere un minimo di controllo è sul nostro impegno. Per questo si continua ad alimentare lo stereotipo della “donna instancabile”, che fa tutto anche con 38 di febbre ed è regina del multitasking.
La realtà è che le aspettative per le donne sono più alte, sia dal punto di vista macro, sia micro. Le donne si aspettano di più, da se stesse e dalle altre donne.
Questo estremo senso del dovere, il terrore di essere giudicati, la paura costante di non essere all’altezza delle aspettative pesano sull’equilibrio mentale.
Il senso del dovere, il perfezionismo e la sindrome dell’impostore sono ingredienti di un cocktail esplosivo perfetto, che può portare a problemi di ansia e di depressione.
L’impostore sul lavoro
Da un punto di vista lavorativo, oltre che accademico, la sindrome dell’impostore non fa che peggiorare la già misera situazione lavorativa delle donne.
Proprio nel momento in cui dobbiamo essere assertive, richiedere quello che ci spetta, dire a voce alta le nostre idee e credere nelle nostre capacità, la sindrome si fa sentire.
Know your worth
Questo è un grandissimo problema per le donne freelancer che, senza avere le spalle coperte da un contratto di valenza nazionale, devono autovalutare le proprie capacità, in termini economici per poter richiedere un prezzo ben preciso.
E non finisce qui. Anche quando si riesce a chiedere il proprio prezzo, dobbiamo essere forti abbastanza per resistere a tentativi di contrattazione. Che siano essi fatti perché si svaluta il lavoro della persona o perché si vuole ottenere un favore economico, non fa nessuna differenza.
Per non parlare poi, delle donne nella STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), un mondo dominato dagli uomini e che ancora presenta eccezionali limiti per quanto riguarda l’inclusione di genere.

Me lo merito?
La sindrome dell’impostore si fa sentire quando vogliamo chiedere un aumento (davvero me lo merito?). Quando vogliamo chiedere un giorno libero (ah, pure il giorno libero chiedo?). Quando sentiamo la spinta ad un cambio di carriera ma ci sentiamo ingrate per la possibilità che ci è stata data e non abbastanza pronte a rimetterci in discussione.
Quando non siamo in grado di prendere un complimento (professionale) e continuiamo a pensare che, dopotutto, quello che faccio io lo può fare chiunque e continuare ossessivamente a chiedersi cosa avresti potuto fare meglio, anche quando il lavoro è bello che finito.

You don’t belong here
Secondo l’International Journal of Behavioral Science il 90% dei casi acclarati di Sindrome dell’impostore sono donne, donne di successo. Persino la grandiosa Michelle Obama in più di un’occasione ha voluto parlare della sindrome dell’impostore e di come sia insita nelle menti delle donne e soprattutto delle donne che fanno parte di minoranze. In questo video sottolinea come molte delle sue insicurezze provenivano da persone che, ad un certo punto nella sua vita, le avevano detto “you don’t belong here” e questo era stato abbastanza.
Esattamente come altre impostazioni mentali che ci portiamo avanti, non è facile liberarsi della impostor syndrome. Come ci consiglia Obama l’unica cosa da fare è ripeterci che siamo abbastanza, che siamo intelligenti abbastanza, che ci meritiamo esattamente quello che vogliamo.
Davvero solo al femminile?
Un ultimo punto di cui vorrei parlare sono i dati. I dati dicono che la impostor syndrome è una sindrome al femminile. Ma molti problemi legati alla salute mentale sono “al femminile” perché le donne sono le uniche a parlarne.
Non smetterò mai di ricordarvi che il sessismo e maschilismo della nostra società danneggia le donne quanto gli uomini. Anche gli uomini, ne sono sicura, soffrono della sindrome dell’impostore, ma non possono dirlo. Dirlo significa confermare una debolezza e gli uomini non possono dimostrarsi deboli.
Devono controllare stanze, aziende, stati, senza crollare.
La generazione delle “belle vite”
Ma sotto i nostri occhi è in corso un cambiamento generazionale.
Tutti questi sintomi di cui abbiamo parlato sono sempre più forti tra i millennials (maschi o femmine che siano), perché sono la generazione che ha iniziato a vedere le “belle vite” degli altri.
Le “belle vite” della generazione dei loro genitori/nonni, in grado di comprarsi una casa e mettere su famiglia ad una giovane età. Le “belle vite” dei loro coetanei rappresentati sui social. Le “belle vite” degli influencer.
Il tutto in un periodo in cui la tecnologia va veloce come il vento, ogni giorno nascono nuovi lavori, necessità di nuove competenze e la competitività è a tratti estrema. Contornato da una crisi economica senza precedenti.
Non cercate soluzioni o cure alla impostor syndrome. La soluzione è diversa per ognuno di noi.
Come dice Michelle Obama, lei ha aspettato per 30 anni di crollare, di fallire come tutti quanti le avevano detto che avrebbe fatto. All’età di 56 anni non è ancora successo.
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