Avete mai avuto quella persona che vi ha sempre incusso paura? Non tanto per la severità o per lo sguardo truce. Mi riferisco a qualcosa di diverso. Mi riferisco a quella sorta di reverenza mista, appunto, a timore che sorge quando ci si trova di fronte ad una persona autorevole. Ecco, io ho giusto un paio di persone di fronte alle quali mi inginocchierei come forma reverenziale e di rispetto: una purtroppo non c’è più, l’altra, chissà, potrei ancora fare in tempo ad incontrarla. Mi riferisco a Umberto Eco, morto nel 2016, autore del libro che recensiamo quest’oggi, e a Corrado Augias.
Questo timore e forse anche un po’ di pregiudizio mi hanno portato ad aspettare fino al Natale 2020 per decidermi ad affrontare la lettura de Il nome della rosa. Un libro descritto dai più come un volume “pesante” per tematiche, per tipo di scrittura e anche per la penna che lo ha ideato. In realtà, leggendolo, non si possono che riconoscere solo meriti al semiologo italiano, il primo forse in grado di sdoganare tra gli accademici, il piacere di scrivere anche romanzi.
Il nome della rosa, un romanzo storico ma anche giallo
Ho amato questo libro sin dalle prime pagine, quando il romanzo, in realtà, non era nemmeno iniziato. Ho trovato particolarmente divertenti le piccanti parole con cui Umberto Eco descrive la situazione politico-religiosa italiana nella prima metà del ‘300. Allerta spoiler: la politica e la religione sono il fulcro di tutto il romanzo ergo, non leggetelo se non avete voglia di immergervi nella mentalità e nella quotidianità di un monaco del tardo medioevo. Ancora più accattivante la motivazione che Eco ha dato ai suoi lettori in merito alla decisione di scrivere questo libro.
Allerta spoiler numero due. “Di fondo avevo una gran voglia di uccidere un monaco”. Da qui cogliamo un altro aspetto fondamentale del volume: non si tratta di un noiosissimo trattato di geopolitica o di retorica religiosa (in realtà è anche questo, senza il noiosissimo), ma di un romanzo giallo. Sì, avete letto bene. Con lo scorrere delle pagine vi renderete conto che il protagonista, Guglielmo da Baskerville, assieme al suo giovane allievo, Adso da Melk, nonché voce narrante, hanno di fronte a loro una missione. Scoprire l’autore di una serie di omicidi probabilmente legati alla vastissima e misteriosissima biblioteca di un monastero benedettino del nord Italia.
Il nome della rosa e la “cultura alta” a disposizione di tutti
Lo stesso Eco non pensava che Il nome della Rosa avrebbe raccolto così tanti consensi. Anche lui si rendeva conto che alcune riflessioni e il tema stesso del libro potessero risultare indigesti ad alcuni lettori poco avvezzi a certe tematiche. Forse è proprio questo che ne rende piacevole e scorrevole la lettura. Pur non comprendendo a pieno le motivazioni delle decisioni politiche, dei timori, delle pulsioni degli uomini di quel tempo, Eco ce li descrive umani e più simili a noi di quanto si possa pensare.
Soprattutto ci fa cogliere quanto il conflitto interno alla Chiesa fosse profondo, specialmente tra i vari ordini religiosi, tra coloro i quali pretendevano di seguire gli insegnamenti di Gesù e di San Francesco di condurre una vita povera e dedita agli altri. Poi c’era l’altra fronda, quella dei potenti, del Papa, dei monasteri che accumulavano ricchezze, in aperto contrasto con gli insegnamenti dei primi cristiani. In questa conflittualità si inserisce il braccio di ferro tra il Pontefice e l’Imperatore.
La biblioteca, la ricchezza più grande che ci fosse
Più o meno indirettamente vi ho presentato la vera protagonista di tutta la storia: la biblioteca del monastero. Noi oggi con i nostri ebook reader, le migliaia di ristampe, con il settore dell’editoria addirittura in crisi, diamo per scontato il sapere. Gli uomini di allora non avevano questa abbondanza e non avevano ancora la stampa per riprodurre libri in serie. Motivo per cui era uso comune copiare a mano i testi che si aveva la fortuna di maneggiare per poterli inserire nella propria biblioteca.
Possedere un libro voleva dire essere ricco, possederne migliaia antichi e rari voleva dire essere ricchissimo e potente. La penuria di libri comportava un altro aspetto. Si doveva imparare tutto a memoria per poter poi utilizzare il sapere appreso nel corso delle discussioni e dispute teologiche molto in voga in quel periodo. Una capacità mnemonica che mi ha ricordato quella in cui sono inciampata leggendo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Un sapere che oggi non esiste più ma che possiamo ritrovare, per fortuna, ne Il nome della rosa.
Fonte immagine: guidatorino.com.
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