violenza di genere

I “Geni” e la violenza di genere: il talento è un alibi?

Indro Montanelli, Pablo Picasso, Harvey Weinstain, Bill Cosby, Woody Allen, Roman Polanski.
Che cos’hanno in comune questi uomini?
Sono famosi, famosissimi, sicuramente.
Sono considerati degli uomini eccezionali, dei geni, per motivi diversi, più o meno validi.
Sono persone che hanno segnato un’epoca, lasciato la loro impronta sul mondo, nel bene e nel male.
Un’altra cosa che hanno in comune? Abuso di potere, violenza di genere, misoginia.

La questione Montanelli

Mentre negli Stati Uniti si tiravano giù le statue che rappresentavano colonialisti, imperialisti e schiavisti, in Italia si parlava della statua di Indro Montanelli a Milano.
Montanelli, uno dei più famosi giornalisti del Novecento, da giovane fascista partecipò alle “missioni” in Eritrea.
Quando tornò raccontò con particolare soddisfazione, in tv e con un libro, di aver “preso in moglie” una bambina di 12 anni. In realtà non si trattava di un vero matrimonio, bensì di un contratto mora uxorio. Praticamente un cavillo che permetteva agli uomini di unirsi sessualmente a donne con cui non erano davvero legati per matrimonio. Il tutto al modico prezzo di 350 lire.

Per quanto ci siano state voci successive che hanno smentito la veridicità delle parole di Montanelli (pare che fosse avvezzo ad inventare storie, come quella di una sua intervista ad Adolf Hitler), la questione non cambia.
Montanelli ha definito la sua sposa bambina come una “bestiolina docile” ed ha anche raccontato dettagli sui loro rapporti sessuali (difficoltosi, a suo dire, perché lei era infibulata).
Tutta la destra (non a caso) si è rivoltata quando è stato richiesto dall’associazione antifascista I Sentinelli, di smantellare la statua. Salvini parlava di benaltrismo, i vari colleghi e studenti di Montanelli asserivano che si trattava di “una così brava persona”.

Persino i giornalisti scettici, che sembrano comprendere l’insensatezza della situazione, sono soliti iniziare i propri articoli con “Mi lavo la bocca prima di parlare di Montanelli”.
Ma quindi basta questo? Basta avere un talento (e tanti privilegi, dovuti alla nascita in una famiglia molto benestante) per ricevere il cartellino verde sulla violenza di genere?
Il lascia passare?
È questa la domanda che vorrei porre oggi.
Basta eccellere in un campo, per ricevere degli sconti? Se si ha un talento, si può fare a meno dell’umanità, dell’empatia, del rispetto per gli altri?

Allen

Sembra che la risposta sia sì, quando pensiamo a personaggi come Woody Allen e Roman Polanski.
Woody Allen, infatti, uno dei registi più amati al mondo, è stato più volte accusato di molestie sessuali dalla figlia adottiva della sua ex moglie, l’attrice Mia Farrow.
La bambina, all’epoca settenne, non venne creduta e le accuse caddero.
Allen, infine, finì per sposarsi con un’altra figlia adottiva dell’ex moglie, che all’epoca aveva circa venti anni, trenta meno di lui.

Diversi attori, come Colin Firth, Timothée Chalamet e Rebecca Hall, hanno preso le distanze da Allen rifiutandosi di lavorare ulteriormente con lui, donando i propri cachet a centri anti violenza di genere. Le cose, comunque, non sembrano essersi smosse di un centimetro per la carriera di Allen.
Continua infatti ad essere un regista di successo, difeso a destra e a manca, mentre continua ad essere ignorata la testimonianza di Dylan Farrow che, a distanza di quasi trent’anni, continua ad accusare il patrigno.

Polanski

La storia di Roman Polanski ha molte meno lacune. Polanski, infatti, il grande regista, è colpevole di aver violentato una tredicenne. Processo, confessione e condanna: tutto fatto. Questo vuol dire che il regista è in galera? Certo che no.
Nel 1977 Polanski venne accusato di stupro da una giovane aspirante attrice la quale, nel tentativo di violenza, venne stordita con alcool e un sedativo.
Il regista si dichiarò colpevole solo di aver avuto un rapporto con una minorenne, ma non di stupro. Ma le cose non si misero bene per lui, tanto che gli avvocati gli consigliarono di scappare prima del fermo.
Polanski partì rapidamente per l’Inghilterra, prima di trovare asilo in Francia (di cui ha la cittadinanza) dove non c’è rischio di estradizione.

Da allora non ha più messo piede su suolo statunitense.
Non solo Polanski ha continuato a lavorare, ma ha anche continuato a collezionare premi (non senza indignazione e proteste).
Quindi, ancora una volta, mi chiedo: il talento di un uomo può essere un alibi per i propri crimini? Premiando il lavoro di un criminale, si inviano dei messaggi ben chiari: non mi importa delle persone che hai ferito, usato e abusato, l’importante è che tu sia bravo in quello che fai. Si giustifica ancora una volta la violenza di genere.

Picasso

Se avete Netflix vi do un consiglio: guardate lo spettacolo di stand-up di Hannah Gadsby.
Oltre ad aver pensato e creato uno degli spettacoli più emozionanti degli ultimi anni, ci dà degli spunti meravigliosi.
Usando la propria laurea in Storia dell’arte, Gadsby ci racconta il suo odio per Pablo Picasso.
Sì, proprio lui. Il capostipite del cubismo, l’autore di quadri meravigliosi come la “Guernica” (Spoiler: è una bufala), il master delle prospettive.
Chi studia Picasso esalta la sua rottura delle regole, la sua capacità di inserire la tridimensionalità in una bidimensionalità spaziale. Tutti, però, ignorano la sua condotta di vita.
Una vita fatta di molte donne, stregate dalla fama e dal suo fascino.

Torturò psicologicamente la prima moglie facendo trasferire l’amante diciassettenne nel palazzo di fronte al proprio, dove rimase rinchiusa per molto tempo.
Questo fu il destino di molte donne di Picasso: tenute prigioniere in casa, costrette a vestirsi in modo “casto” a causa della sua soffocante gelosia, mentre lui continuava ad accompagnarsi a numerose amanti. Sono tre le donne che, dopo essere state con Picasso, hanno trovato la morte per suicidio.
Solo una la donna, dopo anni di soprusi, riuscì a lasciare l’artista, provocando in lui una furia tale da ricevere in cambio una bruciatura di sigaretta sul viso.
Picasso era incapace di vivere con una donna culturalmente al proprio livello come la fotografa Dora Maar, motivo per cui decise di distruggerla emotivamente, fino alla pazzia.
“Non è un uomo, è una malattia” disse lei, infine.

Ogni volta che lascio una donna, dovrei darle fuoco. Distruggi la donna, distruggi il passato che rappresenta.

P. Picasso

Dividere l’arte dall’artista

È questo che si dovrebbe fare, giusto? Dividere l’arte dall’artista.
Ma è davvero possibile?
I quadri di Picasso, non sono importanti proprio perché sono di Picasso?
Non si va al cinema a vedere i film di Polanski o di Allen, perché sono di Polanski e Allen?
Se leggiamo i libri e gli articoli di Montanelli, non stiamo forse leggendo il suo punto di vista sul mondo?

Dobbiamo quindi sacrificare il dolore di una persona vittima di abusi, per avere un film in più nel catalogo? Un articolo in più? Un quadro in più? Dobbiamo ancora ignorare la violenza di genere per proteggere la reputazione di questi uomini?

Rileggere la storia

Un’altra grande scusante utilizzata da chi cerca di giustificare questi “grandi” uomini è dire: state rileggendo la storia.
Quello che ci dice Hannah Gadsby è importante: il senno di poi è un dono immenso perché ci da la capacità di rileggere le cose che sono successe e per troppo tempo ignorate, con un occhio libero dai pregiudizi e dalle dinamiche che hanno tenuto chiuse le bocche delle donne per centinaia di anni.
Adesso siamo liberi di vedere queste cose, ed il non volerlo fare è solo una scelta.
Il senno di poi è un privilegio, e dobbiamo utilizzarlo per proteggere le donne e le bambine che, ancora oggi, subiscono violenza di genere.

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