beauty standard

Gli standard di bellezza imposti NON sono inoffensivi

La nostra cultura di appartenenza, i media a cui siamo esposti fin dalla più giovane età, la nostra educazione, ci influenzano in ogni decisione della nostra vita.
Quella che crediamo essere una nostra scelta, molto spesso, è dettata da delle imposizioni non verbali, non esplicite, che assorbiamo in silenzio così lentamente da sembrare che vengano da dentro. Lo stesso vale per gli standard di bellezza.

Standard di bellezza, il modello

Queste imposizioni, messe insieme, hanno creato quelli che vengono chiamati standard. Quel mix di regole e di “consigli” che vanno a comporre il modello, il normale, il regolare.
Tutto quello che non rispetta il modello, è strano, guardato male, ridicolizzato, insultato, perché l’essere umano risponde bene all’ordine, risponde bene all’uniformato, risponde bene al regolare.

Il caso Armine

In questi ultimi giorni si sta parlando tanto della modella di Gucci, Armine Harutyunyan, artista 23enne di origini armene, che è diventata il volto della nuova campagna pubblicitaria. In realtà Armine aveva già sfilato per Gucci alla Fashion Week dell’anno scorso, ma forse la sua presenza era passata sotto i radar. Cosa che non è successa quest’anno, quando il popolo (brutto) di internet si è riempito di commenti e post che deridevano chi il naso, chi le sopracciglia, chi l’intero viso della modella.

Nella foto la modella e artista armena Armine Harutyunyan. Foto presa dal suo Instagram ufficiale

La colpa di non corrispondere agli standard di bellezza

Qual è la sua colpa? Quella di non rispondere ai canoni di bellezza, al modello, allo standard.
Il naso adunco, le sopracciglia folte (che vanno bene solo se tutto il resto del tuo viso è “a posto”), il mento sporgente.
La chiamano “bellezza non convenzionale” è questo dice un po’ tutto.
Armine ha risposto con un’alzata di spalle a tutti i commenti, con la sicurezza di una donna che non ha bisogno di sentirsi dire dal pubblico di essere bella, e neanche di essere inserita nella lista delle 100 donne più sexy del mondo dal patron di Gucci. Con la sicurezza di una donna che sa di valere, come donna e come essere umano, al di là dai giudizi sul suo corpo.

Le polemiche meteore

Come ogni “blow-up” di internet, iniziano come finiscono: nel nulla.
Sì, ha dato la possibilità a diversi influencer e titoli di articoli di appellarsi al valore della body positivity (chissà chi ci crede davvero, in realtà). Ma probabilmente ne vedremo ben poche di donne come Armine che, anche con il suo “viso particolare”, risponde comunque a degli standard. Gli standard del mondo della moda che vuole le sue modelle in un certo modo (tranne qualche raro caso) e lo sappiamo bene.
Ma il mondo della moda è lontano da noi. Lo possiamo vedere come relegato in una fancy location in quel di Milano, Londra, New York, con il loro mondo chiuso e autoreferenziale.
C’è un mondo ancora più vicino a noi, di cui facciamo interamente parte, e di cui vediamo i suoi abitanti come se fossero vicini di casa e amici. Il mondo dei social.

Il micro-macro mondo di Instagram

Instagram è un micro-macro mondo in cui nell’ultimo anno abbiamo potuto vedere la ribalta della diversità, della rottura dello standard, della rottura delle aspettative.
Donne plus-size a portata d’occhio, prima costrette a nascondersi per evitare commenti. Persone con disabilità che vivono la loro vita a pieno e mostrano le gioie e le difficoltà del loro corpo. Donne di ogni etnia che trovano, attraverso i social, un modo per avere una voce, quando nella “vita reale” non l’avevano.

Il lato finto di Instagram

Ma c’è anche l’altro lato di Instagram, quello delle influencer ma anche delle users personali, che si nasconde dietro i programmi di editing fotografico. Per modificare il proprio corpo e continuare a perpetrare un’idea di uno standard di bellezza e di magrezza (questi due termini, purtroppo, troppe volte coincidono) non raggiungibili.

L’attivista Jameela Jamil

L’attivista e attrice inglese Jameela Jamil (che vi invito a seguire sui social) lotta da molti anni contro gli standard di magrezza insostenibili pubblicizzati e glorificati sui Instagram. Ora lo fa nel ruolo di attivista, utilizzando la sua visibilità ottenuta con il ruolo di Tahani Al-Jamil in The Good Place. Ma lo faceva già prima nel ruolo di scout nel mondo della moda, dove lavorava tutti i giorni per portare modelle plus-size davanti ai grandi brand.
Jamil ha portato all’attenzione del grande pubblico e dell’azienda Instagram, gli advertising delle influencer e/o celebrità (iconico il suo attacco personale alle Kardashian) su prodotti come tè dimagranti e bibitoni, che altro non sono che lassativi, quindi pericolosi per la salute, se usati in grandi quantità.

Jameela Jamil durante l’intervista di Hard Talk con Zainab Badawi

Nothing taste good as skinny feels

Jamil, in questa interessantissima intervista a Hard Talk, della BBC, racconta com’è stato crescere negli anni ’90. Anni in cui ogni grande celebrity non faceva altro che dare consigli su diete per perdere peso e gli anni dell’orribile mantra di Kate Moss “Nothing taste good as skinny feels”. Racconta come vivere quest’atmosfera l’abbia portata a sviluppare disturbi alimentari, proprio per poter essere come Kate Moss.
Un terribile incidente, che l’ha costretta a letto per un anno, con la possibilità di non tornare mai più a camminare, le ha fatto capire tutto quello che il suo corpo faceva per lei ogni giorno e il modo terribile in cui lo aveva trattato per inseguire un’ideale irreale di bellezza. Ideale che rispondeva solo a come gli altri la volevano.
Secondo Jamil, in questi ultimi anni in cui l’influencer marketing o il celebrity marketing è diventato pervasivo, non c’è nessun tipo di regolamentazione e nessun tipo di limitazione a quello che queste persone possono vendere online a giovani impressionabili.

“Their [The Kardashian] pocket are lined with the blood and diarrhea of teenage girls”

Jameela Jamil

Dopo la sua campagna, portata avanti senza peli sulla lingua, Instagram ha introdotto delle restrizioni alla promozione di prodotti legati all’alimentazione.

Gli standard di bellezza NON sono innocui

Questi movimenti e queste richieste sono necessari per capire che gli standard di bellezza che siamo chiamati a raggiungere non sono innocui. Violiamo il nostro corpo, la nostra salute, per arrivare ad un terminato peso, ad una determinata forma fisica, ad una determinata taglia. Compriamo prodotti che ci promettono di aiutarci a diventare come vogliamo(?) o come dobbiamo. Questo genere di mercato sopravvive sulle insicurezze delle donne, sulla loro volontà di essere “attraenti”, ma per chi?
Molte donne ogni giorno si ribellano a questo mindset, scegliendo tutti i giorni di volersi bene e di andare oltre quello che gli altri pensano del loro corpo, anche lì dove non mancano i commenti. Come raccontavo nello scorso articolo, il fare commenti sul corpo di parenti, amici e perfino conoscenti è un comportamento accettato nella nostra cultura (anche gli uomini ne soffrono moltissimo), e non dovrebbe esserlo.

Photo by Nicholas Kusuma on Unsplash

Standard di bellezza: l’esempio Corea del Sud

Un esempio evidente di come gli standard di bellezza di stampo occidentale non siano innocui lo possiamo vedere nel caso Corea del Sud.
Quest’ultimo è uno dei paesi in cui si spende di più in cosmesi e chirurgia. Seoul è da sempre considerata la capitale della chirurgia plastica. Dove passare almeno una volta sotto il bisturi del chirurgo è considerato quasi un rito di passaggio.
Gli interventi più richiesti, inoltre, sono quelli che hanno come scopo quello di occidentalizzare l’apparenza delle donne e di renderle “perfette”. Schiarire la pelle, rendere gli occhi a mandorla più tondi, modificare le palpebre per sembrare più “western”, ingentilire le forme del viso, ottenere le perfette labbra “a cuore”.
Il tutto accompagnato da un regime di più di 10 step di skin-care routine (diventata un must delle skin-care influencer di tutto il mondo) da ripetere mattina e sera, con costi di sostentamento non indifferenti.
Tutto, inoltre, per sembrare più giovani, anzi, giovanissime.

La fantasia K-Pop

Il boom degli ultimi anni dei gruppi K-Pop che fanno impazzire il mondo non fa altro che peggiorare questo estrema voglia di perfezione. Li vediamo lì sul palco, mentre fanno impazzire ragazzini e ragazzine, con i loro corpi perfetti, pelle perfetta, perfetto demur.
Ma la porcellana ha iniziato ad incrinarsi, con sempre più artisti che vengono fuori per denunciare e dire al pubblico cosa è richiesto loro per essere le perfette star del K-Pop e come, scegliere di non obbedire, possa fare la differenza tra la celebrità e l’assoluto anonimato.

Bellezza = successo

La bellezza, ancora una volta, sembra l’unico modo per essere una persona di successo. Un corpo che sia nove volte il viso, un’altezza massima di 1.68, un peso massimo di 48 chili, il seno piccolo, il viso giovane… possono fare la differenza tra trovare un posto di lavoro e rimanere disoccupato. In paesi come l’Italia la discriminazione fisica (quella esplicita. Quella implicita sappiamo tutti che esiste ed è forte) nei confronti di una persona sul posto di lavoro è illegale, in Corea del Sud è una pratica comune e accettata (‘eomojisang-juui’, ‘lookism’ in inglese).

Escape the corset

Ma ci sono i dissidenti. Alcune donne coreane hanno iniziato a ribellarsi a questa cultura che le vuole asservite ad ore al giorno di skin-care routine, di interventi, allenamenti. Il tutto anche solo per vivere una vita normale, con un lavoro e il rispetto delle persone.
Ricordiamoci che non stiamo parlando più di cura del sé, di attenzione nei confronti della propria salute, ma di un obbligo che in Corea del Sud potrebbe essere forte ed esplicito, ma che nel resto del mondo è forte ed implicito.
Le donne coreane hanno dato vita all’Escape the corset movement, che nasce nel 2017, e che si dimostra un movimento femminista tra i più radicali esistenti. Le caratteristiche di questo movimento sono estremamente fisiche: le donne si tagliano i loro lunghi e lucidi capelli per sfoggiare un taglio a scodella, hanno messo da parte il make-up, smesso di spendere centinaia di dollari in prodotti di cosmesi, o addirittura hanno iniziato ad indossare gli occhiali da vista.

4B

A queste donne è stato insegnato che la bellezza è la loro unica merce di scambio. È l’unica cosa con cui possono sperare di ottenere denaro, lavoro, una vita serena, persino rispetto. E l’unico modo per ottenere tutto questo è il matrimonio.
Questa voglia di allontanarsi dall’oppressione della bellezza, non è altro che un altro modo per combattere contro il patriarcato, che ci vuole in un certo modo. Belle, dolci, silenziose.
Per questo accanto al movimento Escape the corset è nato anche il movimento 4B, uno dei movimenti femministi più radicali, che si basa su 4 NO: no relazioni, no sesso, no matrimonio, no maternità.
Ribellarsi nei confronti degli standard di bellezza è solo l’inizio ed è un messaggio forte e chiaro, come lo è ribellarsi ai ruoli che sono richiesti alle donne.

“I’m a straight woman who is no longer interested in having relationship with men”

Bonny Lee

Sei abbastanza

Non è assolutamente mia intenzione criticare a spada tratta la chirurgia estetica, l’uso del make-up, l’attenzione per la skin-care e per la propria apparenza. Chi mi conosce sa che rompo le pa**e a tutti sull’utilizzo della crema idratante, la protezione solare e sul fare la doppia detersione. Ma vorrei disegnare una linea di confine tra il self-care, il prendersi cura del proprio corpo e della propria salute, e l’ossessione nei confronti di standard di bellezza che, vorrei ricordarlo, sono irraggiungibili. Perché non sarà mai abbastanza, e tu sei già abbastanza.

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