Oggi voglio parlare di salute delle donne. Parlavamo un paio di settimane fa di come uno degli stereotipi legato al femminile sia quello dell’invincibilità.
Mentre secondo i luoghi comuni gli uomini con 37 e mezzo di febbre sono clinicamente morti, le donne con 39 possono portare avanti casa, lavoro, figli e combattere la fame nel mondo, il tutto contemporaneamente.
È una retorica che viene utilizzata come complimento nei confronti delle donne, che vengono considerate davvero invincibili e le dee del multitasking.
In realtà, come tutto quello che ha a che fare con il sessismo positivo, ha un lato oscuro.
Questo lato oscuro viene chiamato Gender Health Gap che, in soldoni, la differenza con cui, nel mondo sanitario, le donne e gli uomini ricevono trattamenti differenti in seguito all’affermazione di disagio fisico.
Gender health gap: le donne e il dolore
Il tutto parte sempre da uno stereotipo, lo stereotipo che vede le donne più forti nei confronti del dolore. Come se, il “semplice” fatto di poter partorire ci desse dei poteri sovrannaturali di sopportazione del dolore. Ma non erano gli uomini, il sesso forte?
Forse per questo motivo, nel campo sanitario, il dolore delle donne viene molto spesso sottovalutato, attribuito alle cause più legate al genere, al peso, all’ipersensibilità, all’ipocondria (“che esagerata!”), a problemi legati alla salute mentale.
La BBC ha pubblicato una lunga serie di articoli sul gender health gap. Articoli che non parlano solo di numeri e di considerazioni generalizzate, preferendo riportare delle vere e proprie esperienze di donne in conflitto per anni con medici e strutture sanitarie.
Questione di cuore
Un caso che mi ha davvero colpito è stato quello raccontato in prima persona dalla giornalista autrice di questo articolo. Jennifer Billock racconta di essere arrivata al pronto soccorso con terribili dolori al petto e una frequenza cardiaca di 220 battiti al minuto. E di come, al PS, le sia stato ben presto diagnosticato un attacco di panico e riempita di Xanax.
La Billock dice di aver avuto in passato un attacco di panico e che il dolore provato era nettamente diverso, ma nessuno sembrava darle retta.
Per questo motivo si è poi rivolta al suo medico, che ha monitorato il suo cuore per una notte e visto, finalmente nero su bianco, un nuovo episodio.
Ma neanche questo è bastato, la diagnosi rimane l’ansia, la cura rimane lo Xanax e un “prova a dormire”. Tutto questo è andato avanti per nove anni, NOVE, con vari medici che le dicevano che le donne non soffrono di dolori al cuore come gli uomini e che il suo problema era e rimaneva l’ansia.
Sappiamo benissimo che gli uomini sono più proni agli attacchi di cuore, ma questo vuol dire che le donne non ne possono soffrire?
In realtà, come potete leggere qui, le donne possono non presentare dolore al petto quando è in corso un attacco di cuore. Al contrario nel caso degli uomini, in cui sintomo più comunque è proprio questo.
Proprio per questo motivo le donne tendono a ricevere aiuto con molto ritardo, peggiorando le loro possibilità di sopravvivenza all’episodio, o addirittura dimesse dal pronto soccorso con un ansiolitico.
L’endometriosi
La situazione è anche più disperata quando si parla di malattie croniche come l’endometriosi, una malattia che colpisce le donne in età fertile.
Si stima che in Italia le donne colpite da endometriosi siano circa tre milioni e altre fonti dicono che vengono colpite da questa malattia il 6-10% della popolazione femminile mondiale.
I sintomi più comuni sono infertilità (tra le donne con endometriosi circa il 40% sono sterili) e dolore, tanto dolore. Un dolore che molto spesso diviene debilitante e invalidante, da un punto di vista fisico, lavorativo e sociale.

Donne nella sperimentazione scientifica
Se vi verrà voglia di fare un approfondimento su questa malattia potrete notare molti “non si sa”, “potrebbe”, di solito”. Il che aprirebbe un’altra discussione sulla disparità di ricerca scientifica tra problematiche “maschili” e “femminili”, o dell’assoluta sottorappresentazione delle donne nei test scientifici. Non è questione di parità di genere qui, ma cancellando le donne dalla ricerca scientifica si sta volontariamente danneggiando metà della popolazione mondiale (qui e qui per approfondimenti sull’argomento). Anche questo rientra nel gender health gap.
Gender Health Gap: difficoltà di diagnosi
Si potrebbe pensare che, data l’importante presenza dell’endometriosi, la sua diagnosi sia abbastanza immediata, ma non è così.
Il dolore delle donne in età fertile, quindi con presenza di mestruazioni, è dato talmente tanto per scontato che già ottenere la ricetta per analisi basilari come ecografie, risonanze magnetiche e laparoscopia e simili diventa un processo che può impiegare anche diversi mesi, se non anni, e anche diversi pareri.
La vulvodinia
Un’altra patologia che viene persa nei meandri del sessismo è, ad esempio, la vulvodinia. Una condizione patologica che porta dolore (sì, proprio lui), bruciore, fastidio, ipersensibilità nella zona della vulva.
Ovviamente è una patologia di cui molte donne si accorgono in relazione alla sessualità. Con la vulvodinia, infatti, il rapporto sessuale diventa terribilmente doloroso.
Per la relazione così stretta al rapporto sessuale sono molte le cose che, diverse donne affette da questo problema, si sono sentite dire.
Chi di andare da un sessuologo, perché il problema “sta in testa”.
Chi di “bevi un bicchiere di vino prima di fare sesso, ti farà rilassare”.

La vulvodinia di Charlotte
Riguardo la vulvodinia ci viene in “soccorso” la cultura pop.
In una puntata piuttosto famosa di Sex and the City, infatti, la nostra Charlotte torna da una visita con la sua ginecologa che le ha diagnosticato proprio la vulvodinia, dandole per cura un leggero antidepressivo.
Al famoso tavolo della colazione Charlotte racconta a Miranda e Carrie l’avvenimento, e la protagonista sconvolta dice “La tua vagina è depressa?”
La puntata ovviamente è stata aspramente criticata, perché ha dato proprio l’idea che la vulvodinia sia una malattia legata alla salute mentale, cosa che non è. In realtà, secondo me, ha solo rappresentato la leggerezza dei medici nel diagnosticare e curare problematiche del genere.
La questione “Covid”
Lo so che da quando è iniziata la “questione Covid” ci dicono che siamo tutti sulla stessa barca. Beh, non è così.
Parti diverse della nostra società hanno un’esperienza ben diversa della situazione (per approfondire qui). Sì, il gender health gap non si inchina neanche davanti ad una pandemia mondiale.
Le donne durante questa guerra sono state in prima linea.
Negli ospedali, nelle case di cura, nei supermercati. Lavori stressanti, ad alto livello di tensione per la costante minaccia del contagio, che ha lasciato terribili strascichi da un punto di vista mentale.
Per non parlare delle donne che sono invece rimaste a casa, perché hanno perso il lavoro durante questo periodo (per approfondire la questione donne e lavoro durante il Covid qui) o hanno dovuto rinunciarvi per stare con i figli durante il lockdown o occuparsi dei genitori/nonni.

La salute mentale delle donne
Secondo il Ministero della Salute durante l’emergenza Covid-19, la paura, l’incertezza e l’isolamento sociale hanno portato ad un incremento del malessere psicologico e ad esserne colpite sono maggiormente le donne.
Anche in questo caso la salute delle donne rischia di passare in secondo piano perché siamo “resilienti” e perché sopportiamo bene il dolore e il sacrificio. Ma non è così. Non siamo nate per vivere nel dolore, ma per aspirare al benessere come tutti.
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