Non c’è modo migliore di celebrare questo 1° maggio se non parlando di lavoro. Per farlo ho scelto di raccontarti un episodio realmente accaduto. Ma andiamo con ordine. Ormai da un anno e mezzo ho completato i miei studi e sono alla ricerca di un lavoro. Lavoro che risulta essere quanto mai introvabile, specialmente ora che c’è una emergenza sanitaria in corso. Ma questo accade adesso. Nei mesi scorsi sono stati diversi i tentativi a vuoto e in più di qualche caso il motivo era la totale mancanza di serietà dell’azienda. Uno di questi casi l’ho già raccontato nell’articolo precedente sui venditori di fumo. Questo episodio, per certi versi, è molto simile se non addirittura peggiore per false aspettative e faccia tosta dei rappresentanti aziendali. Insomma, come avrai già capito, l’esperienza che sto per raccontarti non è affatto piacevole.
Il 1° maggio raccontando il lavoro in Italia
Ricordo ancora il momento in cui ho saputo di questa opportunità, alcuni mesi fa. Una mia cara amica dell’Università mi scrive dicendo di avere un colloquio in una zona della Capitale che non conosce bene. Dopo averle fornito consiglio sul modo più semplice e veloce per muoversi con i mezzi, mi racconta al telefono di cosa si tratta. Un’agenzia di comunicazione che si occupa di palinsesti radiofonici sta assumendo a Roma e lei era stata chiamata. Dopo aver sostenuto il colloquio con questa agenzia mi fa sapere le sue impressioni tutt’altro che negative. Bel posto, chiarezza nell’evoluzione della selezione e nelle procedure. Insomma, dopo le precedenti fregature sembra di essere arrivati ad una buona occasione e mi suggerisce di inviare la mia candidatura. Consiglio che sono stata felice di seguire.
Il mio colloquio in azienda
Con alle spalle l’esperienza della mia amica ho seguito le sue indicazioni e anch’io mi sono candidata per la posizione di content creator. Dopo un paio di ore vengo contattata per un colloquio e poco dopo averlo sostenuto ricevo l’esito positivo. Dal lunedì successivo avrei avuto accesso al corso di formazione, della durata di dieci giorni circa, per poi essere inserita in azienda. Ed è qui che mi imbatto in un fantomatico formatore, guru, capo dei capi, despota. In un ufficio in cui regna il silenzio più assoluto e sfilano ragazzi, uno più giovane dell’altro, cominciamo la nostra formazione. Morale della favola, il nostro lavoro consisteva nel chiamare numeri a casaccio, cercare di capire di cosa si occupava il malcapitato ed invitarlo in studio. A fare cosa, ti starai chiedendo? A parlare del suo lavoro, della sua attività, del suo particolare hobby.
Un call center sotto falso nome
Ironicamente ho realizzato di essere incappata nell’ennesima fregatura. Un call center sotto mentite spoglie. Un luogo anche peggiore perché ai dipendenti venivano richieste mansioni al limite dell’umanità. Chiamare numeri a casaccio, controllare sul sistema interno che non fossero già stati contattati in precedenza. Una volta trovato un numero nuovo, capire di cosa si occupava il soggetto in questione ed inserirlo nel sistema con appuntamento. Il tutto garantendo un numero minimo di appuntamenti fissati ogni ora, pur di arrivare allo stipendio minimo. La procedura ci veniva raccontata dal nostro guru con il più malefico sogghigno sulla faccia. Perché, in fondo, questo siamo. Carne da macello, chiusi in delle gabbie come polli da allevamento, da cui tirare fuori il massimo concedendo il minimo. È questo che vuole da noi la nostra società. Super specializzati, smart, laureati e pronti a prostrarci ad ogni lavoro sottopagato che ci capiti a tiro. Buon 1° maggio!
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