Emotional labor: il lavoro extra delle donne nelle relazioni sentimentali

Sono ancora impegnata nella lettura di Io odio gli uomini di Pauline Harmange. La settimana scorsa, infatti, abbiamo parlato della “misandria” e di come la rabbia delle donne venga tutt’ora silenziata e utilizzata come arma a doppio taglio.
Ma Pauline Harmange, nel suo rivendicare il diritto di essere arrabbiata con gli uomini come categoria, si chiede: posso odiare gli uomini e, allo stesso tempo, essere felicemente sposata con un uomo?

Un giorno, durante una conversazione con alcune amiche sulla strana abitudine degli uomini di ritenersi degli amanti eccezionali senza però assicurarsi che le loro compagne siano appagate, mi sono lasciata scappare un men are trash di troppo.
Una delle partecipanti al dibattito mi ha risposto: “Senti, basta con le tue ca*zate. Per te è facile parlare così, ma vuoi farci credere che il tuo ragazzo sia perfetto?”

Io odio gli uomini – Pauline Harmange

Un momento di illuminazione per la Harmange che si chiede: sto sputando nel piatto dove mangio? La risposta è molto semplice: no.
Si può percepire e provare risentimento per le ingiustizie che subiamo da generazioni e amare comunque un uomo e decidere di condividere la vita con lui, con tutti i pro e i contro. Questo perché la vita è complessa.
Il suo compagno non è perfetto, come neanche quello di qualunque uomo o donna sulla terra. Ma al momento gli standard per gli uomini sono talmente bassi che è quasi ironico.
Basta che non picchino, non stuprino, e rispondano ai messaggi. Se lavano due piatti in casa, troviamo anche l’amica che ci dice “sei così fortunata”.

Emotional Labor: cos’è?

Per questo vorrei parlare un po’ di quello che viene chiamato “Emotional labor” o lavoro emozionale. Che cosa si intende per emotional labor?
Nel 1983 Arlie Hochschild pubblica il libro “The Managed heart”, dove descrive il concetto di “lavoro emozionale”.
Inizialmente questo concetto aveva un’area di azione molto diversa: la sociologa, infatti, parte dall’osservazione del comportamento delle assistenti di volo, abituate, durante il lavoro, a mostrare emozioni diverse da quelle che probabilmente provavano in realtà. Per questo definisce il lavoro emozionale come “il controllo dei sentimenti per creare manifestazioni corporee e facciali osservabili pubblicamente”.

Nel tempo questo termine ha cambiato molto di significato, uscendo dall’area lavorativa ed entrando in quella privata, relazionale e familiare.
Ora la formula emotional labor si utilizza per descrivere le richiese emotive di una relazione, responsabilità familiari e organizzative che, nelle relazioni eterosessuali, finiscono spesso per ricadere sulle donne.

Il lavoro emozionale

Tutte le relazioni, a diversi livelli, hanno bisogno di lavoro emozionale. Dall’essere sempre quella che deve rimettere insieme i pezzi dell’amica che si trova sempre in mezzo a qualche drama (ma che non ricambiano). Fino al cercare di mitigare magari rapporti difficili con i parenti.
Ma l’emotional labor lo troviamo molte volte nelle relazioni sentimentali, in cui c’è sempre un partner (di solito la donna) che si sobbarca la maggior parte di questo lavoro.

Secondo la terapista Alyssa Mancao: “il lavoro emozionale è quel processo che ti porta a controllare i tuoi sentimenti con lo scopo di essere performante in un compito. Come ad esempio ascoltare, dare supporto, risolvere problemi.
Sostanzialmente mettiamo da parte i nostri problemi e reprimiamo i nostri sentimenti, per essere in grado di dare sostegno e presentare soluzioni alle persone della nostra vita. Che siano essi i nostri genitori, i nostri figli e i nostri partner.
Farlo una volta non è un problema, farlo in continuazione, ogni giorno della nostra vita lo può diventare.

Emotional labor tutti i giorni

Sembra un processo che può entrare in attività solo nelle grandi problematiche, ma non è così. È lavoro emozionale quando dobbiamo chiedere al nostro partner di lavare le stoviglie, quando avrebbe potuto rendersi conto da solo della necessità di lavare i piatti (consigli di lettura estemporanei: Bastava chiedere). È essere quella considerata responsabile di sapere quando pagare quella bolletta, o di passare l’aspirapolvere, o di iniziare ad organizzare un viaggio.

Alcuni atteggiamenti, considerati red flag dell’eccessivo lavoro emozionale, potrebbero essere:
• L’essere sempre il “terapista” della coppia
• Il dover essere sempre disponibile allo scaricamento dei problemi
• Essere sempre la persona che deve cercare la riappacificazione dopo uno scontro
• Essere sempre quella che deve modificare i propri impegni o orari per venire incontro al partner
• che si deve occupare dei figli quando piangono o quando hanno una crisi isterica e devono essere calmati
• che deve ricordarsi sempre dove sono i documenti in casa, i compleanni dei parenti, se ci sono abbastanza provviste nel frigo, le scadenze, le necessità familiari.

Molte donne non si rendono neanche conto del peso emotivo che stanno portando sulle spalle e i momenti di crollo emotivo (giudicati malamente dalla società) possono essere una sorpresa anche per loro

Emotional labour nella crescita personale

Quando ci si considera una femminista, sul pezzo per quanto riguarda questione di genere, discriminazioni, misoginia interiorizzata e mascolinità tossica, avere una relazione potrebbe non essere facile.

Non perché abbiamo i baffi e siamo brutte, ma perché è difficile trovare degli uomini che rispettino i nostri standard (che non sono bassi come “mio marito ogni tanto lava i piatti” o “il mio ragazzo mi risponde ai messaggi”) e che, soprattutto, siano disposti a decostruire le loro conoscenze sulla mascolinità.

Sono testimone ogni giorno di questo particolare individuo (ndr: il marito) e anche dei suoi sforzi. Non sempre sono sufficienti e i progressi a volte richiedono molto lavoro, ma ne vale la pena. Continuo a rimproverargli di aspettare che io gli serva concetti e riflessioni premasticati sulla mascolinità, di non decostruire la propria quando potrebbe (di ostinarsi a interrompermi, di non accettare di avere torto, di non ascoltarmi o sostenermi): tutte cose strettamente legate alla mascolinità.

Io odio gli uomini – Pauline Harmange

Ne vale la pena?

Questa è la domanda da farsi. Harmange conosce suo marito e sa che ne vale la pena. Ma potremmo conoscere delle persone che amiamo ma che non hanno nessuna intenzione di modificare il loro modo di pensare.
Troviamo ancora buoni padri di famiglia che pensano ancora che la donna “sia fatta a posta” per occuparsi dei figli, di tutto quello che ha a che fare con i sentimenti, con i problemi, con l’organizzazione familiare.
Ci sono uomini che amano le proprie partner, ma le interrompono quando parlano. Si rifiutano di avere torto, di mettere in discussione la loro mascolinità e di parlare dei propri sentimenti.
Questo, a lungo termine, rilascia un carico di lavoro emotivo sulla partner che, eventualmente, potrebbe riportarne delle serie conseguenze.
Ma a quel punto, quando il carico è troppo, quando ci sentiamo completamente sopraffatte e incapaci di ricevere aiuto, siamo delle isteriche.

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