In questi giorni si sta parlando moltissimo del (non) ruolo delle donne in politica, dopo la presentazione della squadra di governo del nuovo impero di Mario Draghi.
Una delle critiche, quella che ci interessa in questa sede, è stata la rinnovata mancanza di donne nell’entourage politico dei prescelti.
Tra i ventidue Ministeri, di cui quattordici con portafoglio e nove senza portafoglio, abbiamo ben otto donne. No shit.
Di queste sei donne, tre sono con portafoglio (Lamorgese all’Interno; Messa a Università e Ricerca; Cartabia alla Giustizia) e cinque senza portafoglio (Stefani alla Disabilità; Bonetti alla Famiglia; Dadone alle Politiche giovanili; l’immortale Carfagna al Sud e alla coesione territoriale; e l’intramontabile Gelmini agli Affari regionali).
Le donne in politica
Nonostante “la tattica” del Presidente Draghi fosse ben chiara a chiunque, cioè dare i contentini ai partiti e tenersi per sé e per i suoi tecnici i Ministeri fondamentali, queste nomine sono sembrate solo un ulteriore contentino.
Della serie: tocca mettece qualche femmina qua, se no sai che casino?
Le donne portafogliate sono tutte tecniche, di alto profilo. Tra le non portafogliate, invece, c’è qualche vecchia conoscenza. Qualcuno che non avresti mai voluto rivedere e, soprattutto, molte donne di destra.
Tutti contro il PD
Questo ha portato il dibattito a polarizzarsi molto contro il PD e, di conseguenza, il suo segretario Nicola Zingaretti. La sua colpa sarebbe stata quella di non essere riuscito a presentare abbastanza donne nella rosa da cui Draghi, come un dolce angioletto, avrebbe dovuto scegliere la nuova squadra.
Avrete sicuramente notato il mio leggero sarcasmo a riguardo.
La questione è che molti giornalisti e opinionisti (di mestiere e di passione) hanno dato ben presto il via libera a Draghi, con un “ha altre cose a cui pensare, piuttosto che alle vostre quote rosa”.
Sicuramente Draghi ha problemi seri a cui pensare, con il Recovery Fund in arrivo e la pandemia rampante, ma in realtà sarebbe potuta essere qualsiasi cosa.
C’è altro a cui pensare…
È il classico modo che hanno queste persone di mantenere lo status quo. C’è sempre qualcosa di più importante di cui discutere, c’è sempre qualcosa di più urgente, e di più polarizzante.
Le persone che davvero mi fanno uscire di testa, però, sono quelli che impugnano i propri privilegi senza neanche rendersene conto e dicono frasi come “non devono avere la strada spianata, se lo devono meritare”; o “se non ci sono vuol dire che non ci sono donne competenti”.
Sì, Gianfilippo, in metà della popolazione mondiale deve essere così raro trovare una persona competente!
Non è un mondo (politico) per donne
La verità, invece, è che nel mondo della politica italiana (in Italia in generale, in realtà) non c’è posto per le donne.
Le donne vengono utilizzate come dei prop, dei materiali di scena, qualcosa che devi avere per forza nel partito, se no dicono che sei maschilista.
Nessuno si salva, da questo discorso. Né destra né sinistra.
La destra sembra passarsela meglio, perché ha tutte queste donne nel proprio arsenale, ma che non fanno che ripetere le cose che dice il capo (maschio) di partito.
Non fanno altro che scendere a patti, accettare e adeguarsi, con la speranza che gli venga dato un po’ di corda di potere.
E quelle rare volte in cui succede, in cui una donna ottiene del potere e si impegna per mettere in atto dei cambiamenti, Dio ce ne scampi…
Le belle statuine non servono
Berlusconi si è costantemente circondato di donne (sempre bellissime, chissà perché), nei suoi partiti. Questo lo rende un femminista? Lo rende una persona che tiene all’equità di genere? Alla rappresentazione? Non fatemi ridere.
In un sistema politico, partitico, come il nostro, non c’è molta scelta per le donne “progressiste”, se non di cercare posto nella “sinistra”. Ed è questo il motivo per il quale l’astio di questi giorni si è sfogato sul PD.
Il PD si autodichiara femminista, dice di credere nell’importanza della rappresentazione femminile in politica, ma quando si arriva al punto, non sono diversi dal Berlusconi di turno.
La meritocrazia dei privilegiati
Si fa ben presto a dire ad una donna che vuole fare politica di “farsi sentire”; di “alzare la voce” (come fa la Meloni, forse? No, perché poi ti chiamano maschiaccio), di “meritarselo”.
Ma non dimentichiamoci che tutti i partiti, a destra e a sinistra, sono nelle mani degli uomini. Sì, sto per dirlo, uomini bianchi, ricchi e etero. E loro sono molto innamorati del loro potere, tanto da buttar giù un governo in piena pandemia solo per avere un piccolo kick al proprio ego.
Donne in un mondo di uomini
Quindi, ancora una volta, sono donne in un mondo di uomini. E se si vuole avere un posto a quel tavolo, bisogna scendere a compromessi, ingoiare bocconi amari, essere usate come delle figurine di scena, cosa che le donne di destra della nostra sfera politica conoscono molto bene.
La politica è un dare e ricevere, ma queste donne sono coinvolte nella politica ma con una porta che le separa dai luoghi di potere veri e propri. Lì dove si fa la differenza.
Invece di “arrabbiarsi” per le quote rosa, chiediamoci perché sono necessarie. Perché qualcuno, da fuori, deve venirti a dire di andare a cercare due o tre donne per fare numero. E ditemi poi, perché le donne che trovano sono quelle più simili a loro.
Il gatekeeping è reale
Chiunque non si renda conto (o non è pronto ad ammettere) che c’è un terribile gatekeeping alle porte del potere evidentemente vive in un altro universo. E, ragazzi, dev’essere bellissimo dare sempre la colpa a chi ha meno potere, mentre chi ce l’ha davvero si sfrega le mani come un vecchio villain della Disney.
Quando si fa la guardia in questo modo ai posti di potere, l’unica cosa a cui ci si può attaccare sono i numeri, le quote. Oh quelli non ingannano mai, e ve lo dice una che ha fatto della discalculia la sua identità.
La meritocrazia è un arma a doppio taglio
La meritocrazia può essere un’arma a doppio taglio, perché si pensa che sia imparziale e sempre giusta, ma non è così. Non sempre c’è una persona più meritevole dell’altra, non sempre la decisione è netta e sicura. Non sempre è giusta ed imparziale.
Per ogni uomo meritevole e capace, c’è una donna altrettanto meritevole e capace. Allora perché in posizione di potere troviamo solo uomini?
L’esempio degli Oscar
Lo stesso discorso l’ho affrontato con diverse persone, compresa la boss, qualche mese fa, quando uscì il nuovo regolamento riguardo le candidature ad alcune categorie degli Oscar.
Con validità a partire dall’edizione 2022-23, le candidature dovranno rispettare dei numeri ben precisi di rappresentazione di gruppi etnici sottorappresentati all’interno delle loro crew, on e off-stage.
Perché si sente la necessità di chiedere la diversità?
Perché si è sentita la necessità di mettere per iscritto queste richieste di rappresentazione? Perché le persone di altre etnicità non sono bravi registi? Non ci sono bravi attori asiatici, ispanici, neri? Non ci sono brave registe donne?
Perché in diverse edizioni degli Oscar si sono date via statuette in categorie in cui, tra i candidati, erano presenti sono sfilze di uomini bianchi? È così difficile da credere che ci sia un feroce gatekeeping e che le persone che scelgono la rosa sono davvero quelle che hanno il potere di decidere chi vince?
Meritocrazia e opportunità
Bisogna essere abbastanza maturi da fare una divisione tra la meritocrazia e le opportunità. Non c’è meritocrazia, se non ci sono stesse opportunità per tutti.
E le opportunità per le donne non sono ancora abbastanza.
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