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Donne e mondo del lavoro: la questione delle soft skills

In questi giorni mi sono imbattuta più di una volta in un trend di Tik Tok, approdato successivamente sui Reels di Instagram.
Purtroppo, su Instagram, quando cerchi qualcosa non la ritrovi mai più, ma farò del mio meglio per spiegarvi a parole quello che ho visto.

Vediamo una donna davanti ad un pc, con una caption che, in soldoni, dice: Io che cambio il mio stile di scrivere email, per adeguarlo ai miei colleghi uomini.
Focus sullo schermo del pc e vediamo la donna togliere punti esclamativi, sostituire il “Can you” con un imperativo, chiedere con fermezza una risposta immediata, piuttosto che formulare una richiesta.
La scenetta si conclude con la protagonista che prende una tazza con una mano terribilmente tremolante e ne beve con evidente difficoltà, per simboleggiare il nervosismo nascosto fino a quel momento.

Ragioniamo sulle soft skills

Ovviamente il trend ha un chiaro obiettivo ironico ma, secondo me, ha anche un forte simbolismo satirico.
Mi ha fatto venire in mente diversi discorsi che riguardano proprio il rapporto diversificato tra uomini e donne con il linguaggio, l’atteggiamento e quei comportamenti che, sul lavoro, possono attivare nelle donne situazioni di sconforto, nervosismo, ansia. E sulla questione delle soft skills.

Real Life Stories

Per rimanere nel contesto della scrittura delle email, riguardo la mia esperienza personale, posso dire che ho rivisto molto si me stessa nella ragazza del Reel.
Per quanto non sia un’appassionata di utilizzo di punti esclamativi o emoji nelle email, sono quella che tenderà a scrivere un “per favore” di troppo, un “grazie” all’inizio ed uno alla fine, un “come stai?” dopo il saluto iniziale, un saluto entusiasta alla fine.
Tutte le mie frasi sono impostate in modo da evitare che sembrino degli ordini e, dato che siamo tutti consapevoli del fatto che nella lingua scritta si può facilmente fraintendere il tono della discussione, tendo ad aggiungere un termine confortante in più, piuttosto che uno in meno. Sono queste le soft skills?
Almeno, però, quando non uso niente del genere è chiaro a tutti che sono arrabbiata.

Revisione delle email

Utilizzando moltissimo le email in ambito lavorativo ho provato anche io ad editare le mie email prima di inviarle.
Le ho scritte, come le ho sempre scritte, ma prima di cliccare “invia”, ho fatto una rilettura in più.
Ho cancellato i “per favore” di troppo, quando non si trattava di una richiesta non “obbligatoria”, ma una richiesta coerente con l’avanzamento del lavoro.
Cercato di andare dritta al punto, dichiarando quello che mi serviva, per quando mi serviva e come mi serviva.
Evitato abbellimenti, fiocchetti, parole confortanti.
Ho, in poche parole, imitato lo stile delle email che ricevo dai colleghi maschi.

Il disagio post-invio

Anche io, come la protagonista del Reel ho provato un certo disagio, dopo ogni invio. La mente mi tornava lì, a quella scelta di parole, anche dopo diverse ore, anche dopo aver ricevuto una risposta.
Una sensazione davvero fastidiosa, sia per l’insistenza ma anche per quello che significava.

L’importanza di evitare contrasti

Quanto era importante, per me, evitare un possibile contrasto? Quanto era importante per me, piacere alle persone con cui lavoro? Quanto lo è fare in modo di “non farle arrabbiare” o “stranire” davanti ad una mia comunicazione? E ancora, sono queste le soft skills?

Questo, sicuramente, dice qualcosa di me, ma dice anche qualcosa di quelle ragazze che hanno condiviso o reinterpretato in massa il trend di quel TikTok e di quelle che, come me, si sono riviste in loro.

Le conclusioni…?

Ragionandoci sopra sono arrivata ad una serie di conclusioni, che cercherò di elencare da qui in poi.

Le donne non vogliono essere stronze. Non nel senso che si sforzino a non esserlo (come dicono gli Zen Circus “esser stronzi è dono di pochi, farlo apposta è roba da idioti”), ma perché c’è tutta questa narrazione che circonda le donne stronze sul lavoro, che però, la maggior parte delle volte, sono donne che agiscono come agiscono gli uomini tutti i giorni.

Le donne devono essere accomodanti, materne, qualsiasi deviazione dalla via è vista come un problema.

Le famigerate soft skills

Le famigerate soft skills, come dice anche Michela Murgia nel suo nuovo libro Stai zitta sono considerate delle abilità puramente femminili. La comunicazione (non a caso), stringere rapporti, sciogliere i conflitti…

E a proposito di conflitti. Le donne sono educate, fin da piccole, ad evitare i conflitti o gli scontri diretti. Da una parte è fatto sicuramente per proteggere l’incolumità fisica delle donne. Dopotutto, attivare conflitti con un uomo a volte può andare molto male per noi. Non a caso quando le donne attaccano fisicamente, si scagliano contro altre donne.

Esperte ad evitare i conflitti

Siamo diventate esperte ad evitare conflitti e lo facciamo inconsciamente, mettendo un “per favore” in più, un “grazie” in più e anche, purtroppo, a minimizzare quando le altre persone sono in torto.

Se facciamo una caz*ata sul lavoro e davanti abbiamo un uomo non è raro trovarsi a ricevere una bella strigliata (una scenetta molto utilizzata e abusata anche nelle sit-com, serie tv del genere), ma quelle poche volte in cui è una donna ad essere capo, si tende a spiegare il perché dell’errore, del ritardo, del problema, a dare giustificazioni emotive o legate alla vita privata.
A riguardo Murgia nel suo libro racconta:

In una conversazione specifica [con la dottoressa Hannah Monyer del Deutsches Krebsforschungszentrum] sulla gestione della catena di comando, la scienziata, premio Leibniz per i suoi studi sul cervello, mi disse che rilevava una netta differenza di atteggiamento in colleghi e sottoposti nei suoi confronti rispetto ai capi e ai colleghi di altri dipartimenti.
Da una donna al comando ci si aspetta inconsciamente che abbia una maggiore attitudine relazionale e una superiore capacità di empatia verso le debolezze altrui[…]
La scienziata leader che si rifiuta di assumere questo ruolo accudente e indulgente paga il pegno di una fama di durezza che per gli uomini sarebbe tradotta in “determinazione”, e le viene attribuita una spietatezza che in un collega sarebbe invece ammirata come “rigore professionale”.

Alla Monyer, in una posizione comunque di privilegio, poco importa di creare conflitto o di essere vista in un certo modo. Per le donne un po’ meno fortunate, che devono alla loro “piacevolezza” il posto di lavoro o al fatto di farsi sempre in quattro per non dover dire di “no”, mantenere una certa “reputazione relazionale” è fondamentale.
Quante sono le donne che “creano più problemi che altro” e vengono mandate via, senza se e senza ma?
E se sopra tutto questo hai anche un pizzico di sindrome dell’impostore (molto più frequente nelle donne che negli uomini, qui un articolo in cui ne parlo) ti conviene farti il segno della croce.

Diventare più “uomini”?

Ora, per quanto io guardi con estrema riverenza donne come Hannah Monyer, per quanto io vorrei che tutte le donne creassero sempre più conflitti e problemi, perché è attraverso i conflitti e i problemi che si cambiano le cose, per quanto io mi sia sentita profondamente infastidita dal mio stesso stato d’animo in questi giorni, non posso fare a meno di chiedermi, è questo che vogliamo?

Vogliamo fare di tutto per assorbire il modo di fare, il modo di scrivere, il modo di puntare il piede, il modo di rivolgersi con prepotenza alle persone?
Crediamo davvero che sia solo questo il modo giusto per portare avanti un’attività di successo, un lavoro remunerativo e soddisfacente?
Deve sempre avere tutto a che fare con il potere?

Non possiamo ottenere gli stessi risultati (anzi, migliori!), con rigore e sensibilità? Con un “grazie” in più e un imperativo in meno?

Inoltre credo che sia sempre più importante smettere di associare alcuni comportamenti alla mascolinità e alla femminilità, e di avallare questi doppi standard nel posto di lavoro, che non fanno altro che rallentare il progresso del nostro Paese.

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