donne al potere - sanna marin

Donne al potere e comunicazione: la gestione dell’emergenza al femminile

Come ci ha fatto vedere chiaramente l’evento che, settimana scorsa, ha coinvolto la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, anche le donne al potere devono “richiedere una sedia”.
Per quanto ci siano state diverse letture a quanto accaduto ad Ankara, che ora viene chiamato “sofa-gate”, una meno plausibile dell’altra, quello che è passato è stato un messaggio forte e chiaro: tu non sei al nostro livello e sei sola.
Ci sono stati anche diversi punti di vista riguardo il comportamento di Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, considerato come inadeguato e servile.
Ci sono due letture che, nel mondo difficile delle relazioni internazionali, hanno portato ad un conflitto nella mia testa: da una parte Michel ha fatto quello che doveva fare per cercare di preservare i rapporti con Ankara e “non creare caos”. Ma dall’altro il rappresentante dell’Unione si è comportato come qualsiasi altro uomo si comporta in situazioni del genere: ha fatto il vago.

In una situazione diversa, in un modo diverso, Michel avrebbe atteso in piedi, in attesa che venisse portata un’ulteriore sedia per von de Leyen.
È un po’ quel solito discorso sul fatto che il patriarcato si distrugge dall’interno e, purtroppo, per riuscire ad ottenere un posto al tavolo abbiamo bisogno dell’aiuto degli uomini. O una sedia per sedersi, in questo caso.

Ma Ursula von der Leyen è solo una delle donne al potere che ha subito situazioni del genere. Qualcuno l’ha trovato divertente, qualcuno si è sentito a disagio: forse è perché sono questi i sentimenti che si provano quando la società vede una donna di potere umiliata?

Quanto è accaduto ha avuto un forte impatto comunicativo per me, come donna. Il messaggio inviato e ricevuto è stato molto forte e mi ha permesso di ragionare un po’ di più sul rapporto tra comunicazione/soft skill/donne al potere.

Le Presidenti, la comunicazione e la pandemia

Sono diverse le donne presidenti o in posizioni di potere politico, al momento. Alcune di loro hanno governato per tutto il tempo della pandemia, distinguendosi nella gestione della crisi e della comunicazione di emergenza: su quest’ultimo punto gli esempi da parte di leader uomini, in questo anno e mezzo, sono stati a dir poco desolanti. Da chi chiedeva ai propri cittadini di “abituarsi a perdere i propri cari”, fino a chi neanche credeva nella Covid19, la situazione è andata sempre peggio.
Quindi vorrei soffermarmi su alcuni casi, per capire se c’è davvero un modo diverso di fare le cose (Spoiler: c’è)

Il caso Jacinda Ardern

Jacinda Ardern è la Presidente della Nuova Zelanda. Rappresentate della sinistra neozelandese, progressista, è stata eletta nel 2017 e rieletta, con plebiscito nazionale, nel 2020, come conseguenza della sua eccezionale gestione della pandemia.
Amata pazzamente dal suo paese tanto da aver causato quella che viene chiamata una “Jacindamania”, il suo trionfo si spiega proprio con la gestione dell’emergenza.

Comunicazione di guerra

Mentre la maggior parte dei paesi occidentali, governati da uomini, ha utilizzato una comunicazione di “guerra, le metafore belliche, la Ardern ha optato per qualcosa di diverso.
Non ha mai chiamato la Covid19 un “nemico invisibile”, non ha mai utilizzato espressioni come “combattiamo il virus”. Questo genere di comunicazione, molto occidentale e americanizzata, si fonda sul trovare un nemico comune. Non è un caso, infatti, che in America, come in Italia, si sia associato il virus all’Asia, e specificatamente alla Cina. Perché la necessità di trovare un colpevole, un nemico, appunto, è insita dentro questo genere di ragionamenti.

La comunicazione di Ardern è legata a frasi come “Uniti contro Covid-19” o definire il suo paese come una “la nostra squadra di cinque milioni”. Non credo sia un caso che lo sport nazionale neozelandese sia il rugby, che si fonda sul lavoro di squadra, piuttosto che sul ruolo del bomber.

Ardern non fa disinformazione, non scarica sugli altri le colpe, tenta di rispondere alle attese di tutti e al tempo stesso è rassicurante. Usa la sua autorevolezza per spingere la società a valorizzare i suoi aspetti migliori, come il fatto di essere gentili con gli altri. Penso che questo sia più importante di quanto si creda, e che influenzi positivamente gli atteggiamenti di tutti.

Van Jackson, docente di relazioni internazionali alla Victoria university di Wellington

Competenze, media e natura

Un mix tra la competenza della Presidente, un sistema mediatico sano (e non malato come il nostro), la conformazione geografica del paese hanno fatto sì che la Nuova Zelanda fosse considerata ormai un luogo Covid-Free.

La Ardern, per quanto amata, non è stata risparmiata da domande fuori luogo. Infatti è stata la seconda Presidente a dare alla luce un figlio durante il suo mandato e le domande su “chi ti guarda il figlio mentre sei a lavoro” sono andate avanti per mesi. Come se il padre fosse un optional.
Ma la Presidente ha saputo gestirle con pazienza e la sua risposta più forte è stata la legge per chiudere il gender gap. Legge da cui dovremmo prendere esempio.

Sanna Marin, Ministra capo della Repubblica Finlandese

Un’altra donna al potere che si è distinta nella gestione della pandemia è stata Sanna Marin, prima ministra finlandese.
In una situazione sicuramente diversa dalla Ardern, circondata da paesi con gestioni della crisi molto meno organizzate, ha impresso il suo stampo alla comunicazione ed alla gestione dell’emergenza.
Rappresentante della sinistra finlandese, cresciuta da due donne, appena 35enne, nel suo governo si è circondata di donne.
La Finlandia è stata chiusa solo pochi giorni dopo l’Italia, ma con ancora solo 300 casi accertati. La capacità di vedere e calcolare il rischio, riconoscerlo e agire non è da tutti, soprattutto dai leader di altri paesi che hanno preferito procrastinare piuttosto che prendere le decisioni difficili.
In più, la chiave di tutto, è stata una comunicazione chiara e pulita. Poco incline a sensazionalismi, allarmismi e titoloni (vi ricorda qualcosa?).
L’utilizzo dei social e di poca e ragionata intermediazione, ha dato la possibilità alla crew ministeriale di comunicare con le nuove generazioni. Conte ci aveva provato, ma abbiamo preferito il silenzio di Draghi.

Marin, comunque, non è stata risparmiata da commenti sessisti o dalla “polizia della buoncostume”. Attaccata per le sue scelte di vestiario in più occasioni, ha però trovato sostegno dalla sua popolazione, che ha lanciato un hashtag #imwithsanna per mettere fine a questi titoli sessisti.

Tsai Ing-wen, la presidente di Taiwan

Prima donna a capo di Taiwan, di sinistra, progressista, pro-lgbt+. Un equilibrio tra preservare le specificità del paese, ma aprirsi all’esterno.
Taiwan si è mossa in modo eccezionalmente veloce, durante i primi mesi del 2020, ed è riuscita a far fronte all’emergenza da sola, anche perché non vi era ancora una “best practice” da imitare.
In questo caso l’esperienza (non dimenticata) della mini-epidemia di Sars-Covid che ha ferito Taiwan nel 2003 è stata fondamentale. È entrato in azione, infatti, il National Health Command Center (Nhcc). Un sistema di protezione da pandemie. Medici, militari di sostegno alla popolazione, ricerca, tecnologia, il mix perfetto per l’emergenza.
Ma la comunicazione è stata, ancora una volta, fondamentale. Una comunicazione fatta di briefing quotidiani, ma semplici, diretti e trasparenti. È stata gestita, inoltre, in modo e coordinato sia della presidente che degli altri politici, sì, anche quelli dell’ “opposizione”.

Approcci diversi alla comunicazione d’emergenza

Abbiamo visto diversi approcci alla comunicazione d’emergenza, ognuna che rispecchia anche le provenienze culturali di queste donne al potere, ma il fattore comune è stato quello di non nascondersi, di non minimizzare, di non allarmare, ma di agire.
Come dice Avivah Wittenberg-Cox, ma come abbiamo potuto vedere in questo anno e mezzo di pandemia, “Negare, minimizzare, rimandare le decisioni fino all’ultimo è tipico dei maschi alfa, gente come Donald Trump e Boris Johnson. Mi ha colpito notare che, fra le nazioni che hanno gestito meglio l’emergenza, sette sono guidate da donne. E tutte avevano degli elementi in comune. Da Angela Merkel a Jacinda Ardern, hanno utilizzato un particolare tono e stile: dando informazioni con precisione, nei tempi giusti.”

Ho parlato in altre occasioni del rapporto (pare) indissolubile tra donne e soft skill. Qui è possibile vedere come l’empatia, l’approcciabilità, l’etica del lavoro e la capacità di essere creative nelle soluzioni sono state fondamentali in questo anno di gestione della Covid19.
Mai come quest’anno abbiamo potuto vedere quanto la (cattiva) comunicazione possa essere deleteria per un paese intero. Forse dovremmo iniziare a prendere gli esempi giusti, dall’estero.

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