Questo 2021 è iniziato con un carico di aspettative mai visto prima. Eppure sono bastati pochi giorni a Donald Trump per gettare un’ombra sul nuovo anno. Noi tutti abbiamo stampate in mente, ormai, a una settimana circa di distanza, le iconiche immagini di quanto accaduto a Capitol Hill, nella capitale degli Stati Uniti, Washington. Un gruppo di facinorosi, di esaltati, di complottisti, ha dato l’assalto al cuore, al simbolo, della principale democrazia del mondo. Di quella democrazia che spesso si è vantata di esportare democrazia in zone e Paesi del mondo che ne sono sprovviste. Per riscrivere le regole del gioco e mettere in crisi il sistema precostituito è bastata una persona, Donald Trump, uno strumento, il social network Twitter, ed un gruppo di seguaci.
Ovviamente non si è trattato di un caso fortuito. Il lavoro di logorio, di divisione, di polarizzazione dell’elettorato americano è iniziato prima dei fatti del 6 gennaio. È iniziata con la campagna elettorale 2016 ed è proseguita per tutti i quattro anni di mandato del Presidente uscente. Fino al 6 gennaio a Trump era stato concesso tutto, nonostante le critiche, nonostante le palesi bugie pronunciate durante la sua presidenza. Adesso qualcosa si è rotto irrimediabilmente e ciò che ne sta derivando può rappresentare un cambiamento importante nei rapporti di forza tra i mezzi di comunicazione offerti dalla rete e i rappresentanti politici di tutto il mondo.
Donald Trump: la stella che si sta trasformando in meteora
Ma coma siamo arrivati a questo punto? Facciamo un passo indietro, allo scorso novembre, in occasione delle ultime elezioni presidenziali americane. La campagna elettorale, già di per sé molto lunga, in questa occasione è stata davvero estenuante. L’elemento discriminante, neanche a dirlo, è stato ancora una volta il coronavirus. Non solo per il modo in cui la pandemia è stata gestita negli Stati Uniti, che ricordiamo essere il primo Paese al mondo per numero di contagi, ma anche per le modalità con cui è stato poi messo a punto il sistema di voto.
Le votazioni per posta sono stati il vero ago della bilancia. La causa di buona parte di tutti i mali. Quelli che hanno scoperchiato il vaso di Pandora e portato ai fatti del 6 gennaio 2021. Gli statunitensi hanno potuto votare per posta già dall’estate e ciò ha causato molti ritardi nei conteggi, tanto che, a distanza di giorni dalla notte elettorale, ancora non si conosceva il vincitore. Ma, cosa ancora più importante, essendo un metodo di votazione “meno” sicuro, a detta di Trump, dava la possibilità di favorire dei brogli. È qui che la dialettica di Trump ha fatto quello che sa fare meglio. Attaccare. Accusare. Nel momento in cui la vittoria gli stava sfuggendo dalle mani, Trump ha caricato i suoi sostenitori con una campagna dai toni violenti. Ma questa linea adesso gli si sta ritorcendo contro.
I fatti del Congresso del 6 gennaio 2021
Nei due mesi che hanno separato i risultati elettorali dal 6 gennaio 2021 la retorica di Trump è stata molto aggressiva. Ancora una volta il mezzo di comunicazione prescelto per la sua campagna denigratoria nei confronti dello sfidante vincitore, Joe Biden, e dei risultati elettorali è stato Twitter. Corsi, controricorsi, riconteggi. Tutto, finora, ha smentito le accuse di brogli del Presidente, tanto da creare forti malumori anche tra alcuni membri del suo stesso Partito Repubblicano. Ma non tanto da voltargli le spalle.
Con l’insurrezione e il “tentativo di golpe” compiuto dalle frange più estreme delle destra che lo sostengono, Trump ha passato il segno. Sebbene non sia stato lui l’autore materiale degli avvenimenti ne è sicuramente l‘autore morale. I social network hanno optato, dunque, per una azione senza precedenti, almeno per rilevanza politica. Gli account Twitter, Facebook e Instagram di Trump sono stati sospesi a tempo indeterminato. C’è chi parla di censura. Forse è così. C’è qualcuno, invece, che si sia preoccupato della responsabilità sociale? Come sempre, tra guelfi e ghibellini, si perde di vista il punto centrale. Il rispetto della legge e dei limiti della decenza.
Mentre gli USA si frantumano il mondo guarda (e in alcuni casi se la ride)
Se sul fronte interno le cose non vanno bene, in fatto di politica estera le scelte trumpiane sembravano riscuotere consensi tra gli statunitensi. Soprattutto se si pensa alle idee protezionistiche. Ma non sono mancati di certo gli scontri e gli ultimatum. Basti pensare all’embargo nei confronti dell’Iran, con il quale si è sfiorato un conflitto proprio agli inizi del 2020. O ancora al continuo braccio di ferro con la Cina e alla partita giocata sulla gestione dei dati da parte di Huawei. Insomma, per Trump la linea, sia sul fronte interno che esterno, è sempre stato di continuo attacco.
Eppure ciò che è accaduto a Washington ha pesanti ricadute di immagine e di potere anche a livello internazionale. Sicuramente l’intenzione è di lasciare in eredità a Biden un Paese profondamente lacerato, con tante fratture da sanare ma le conseguenze vanno ben oltre la ritorsione nei confronti dello sfidante. E forse è questo il motivo che sta spingendo tanti repubblicani, del suo stesso esecutivo, ad abbandonarlo definitivamente. Il 20 gennaio ci sarà il giuramento di Biden a nuovo Presidente degli Usa ma ancora una volta, la seconda in un solo mandato, si sta parlando di impeachment ed il fronte tra i favorevoli, anche nel suo stesso partito, si sta allargando sempre più. Un gesto simbolico, politico, ma che manda un messaggio chiaro: no, a questo mondo, non è tutto concesso! Anche se sei il Presidente degli Stati Uniti d’America. Anche se ti chiami Donald Trump.
Fonte immagine di copertina: Elle.com
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