Quest’oggi diamo inizio a quella che si spera sia una bella storia. O meglio, a molte belle storie. Quelle di tante realtà imprenditoriali che si trovano a vivere un momento difficile a causa del coronavirus. La prima che voglio raccontarti, assieme al fotoamatore Alberto Mantova, è quella di Francesco di Palma e della sua Deep Beer. Quella per la birra è una passione che ha radici profonde, trasmessa dal padre di Francesco, chimico farmaceutico. Ma come tutte le grandi storie d’amore la passione va curata e fatta crescere. Partendo dall’Irish Pub quando era appena un ragazzino, fino ad approdare a Bra, in Piemonte, a centinaia di chilometri da casa. Uno dei primi in Italia a studiare presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche. Lontano dalla sua terra natia ha avuto l’opportunità di formarsi e crescere professionalmente e scoprire tutti i segreti per diventare un ottimo mastro birraio.
Le esperienze prima di Deep Beer
Non può esserci business senza che questo abbia anche un importante risvolto sociale. È questo che Francesco ha appreso dalla sua prima esperienza lavorativa, dopo la laurea nel 2012, all’interno di un birrificio in un carcere, a Saluzzo. Un’esperienza umana ancor prima che formativa, assieme ai detenuti con i quali lavorava a stretto contatto per la produzione della sua amata bevanda. Ha poi affinato la tecnica in uno dei birrifici più grandi in Italia, ma con nel cuore sempre il sogno di aprire una realtà tutta sua. Sogno che si realizza nel 2016 quando parte l’esperienza di Deep Beer.

Con alle spalle la famiglia e tanto coraggio, Francesco si è lanciato nel suo progetto. Non mancano le difficoltà in un mercato, quello della birra, in continua evoluzione. Pubblico sempre più esigente che ama tenersi informato e con tante nuove richieste di birre artigianali di qualità; queste le sfide più impegnative.
Materie prime del territorio
Per ottenere un’ottima birra di non si può prescindere dalle materie prime ma ancor più importante è sapere cosa si vuole realizzare.
“Prima di tutto si identifica la ricetta e il tipo di birra che si vuole produrre. Ci sono delle regole di base da rispettare per specifiche materie prime. Ad esempio una schwarz, cioè scura ben si adatta al caffè. Diverso è il discorso per una bionda che non si sposerebbe bene con questo prodotto”.
L’elemento base è l’utilizzo di materie prime del territorio, acquistate da produttori locali, con un richiamo alla loro stagionalità. Nel frusinate, racconta Francesco, ci sono uve autoctone di qualità. Primo fra tutti il Cabernet, con dominazione DOP, ma anche il Maturano di Pescosolido, il Pampanaro e il Lecinaro. Sulla base della materia prima a disposizione si decide che tipo di prodotto realizzare. L’ultimo esperimento? Una nuova birra a base di kiwi e mele.

Un ostacolo chiamato quarantena
È possibile trovare le birre a marchio Deep Beer in pub, enoteche, pizzerie e qualche ristorante. Francesco ha creato anche un sistema di consegne a domicilio o all’estero. Una strategia che si è rivelata essere fruttuosa specialmente con l’emergenza sanitaria in corso.
“Sono stato tra i primi ad utilizzare le consegne a domicilio durante il periodo di quarantena. Il primo mese, quello di marzo, è andato davvero molto bene, cosa che non ci si aspettava. Ho effettuato tante consegne mentre ad aprile ho subito un calo importante, definitivamente crollato dopo Pasquetta. Si è trattato, ovviamente di carichi di piccola entità non paragonabili ai volumi di vendita e di guadagno con i locali. Ma non mi lamento. È stato importantissimo anche fare un singolo scarico in un momento in cui tanti altri facevano zero”.
Non mancano le incertezze per il futuro che, secondo Francesco, sarà un continuo sali e scendi.

Il futuro di Deep Beer
Con le prime riaperture i volumi di vendita potrebbero tornare a crescere ma difficilmente la vita tornerà come prima. Le norme da rispettare come l’utilizzo dei dispositivi in plexyglass ed il distanziamento sociale porteranno le persone ad uscire meno. Probabilmente, aggiunge Francesco, si creeranno forme alternative di socializzazione per evitare di frequentare i locali pubblici. Ciò potrebbe provocare una diminuzione della produzione almeno del 30%.
“Io sono positivo. Non mi sento minacciato da questa sfida. Mi sto dando da fare e sono sicuro dei miei clienti. So che ci saranno alti e bassi e in alcuni momenti dovrò tirare la cinghia ma a differenza di altri non ho molte spese da sostenere. La mia è una piccola azienda e cresce del 35% annuo ma non è sicuro che possa incrementare ulteriormente in questo 2020. Nonostante i guadagni, il coronavirus può comunque rappresentare un ostacolo alla crescita reale di Deep Beer”.
Foto di Alberto Mantova
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