Giugno è il mese del Pride. Un mese ricco di manifestazioni, parate e qualunque altro tipo di contenuto informativo che promuove la cultura LGBTQ+ e da visibilità a chi difende i diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e ogni altra definizione.
Ogni anno la mia partecipazione è garantita e, a fermarmi, sono state solo un’operazione e una pandemia.
La conversazione intorno al Pride
Durante questo mese, però, ogni anno, la conversazione intorno alla questione LGBTQ+ si fa sempre più accesa. Prima di tutto perché è proprio quello che ci si aspetta durante il Pride Month, cioè riaccendere discussioni pubbliche che, troppo spesso, rimangono chiuse a chi frequenta o segue attivisti. Attivisti che, lo ricordiamo, lavorano tutto l’anno per la sensibilizzazione sul tema, e non solo a giugno.
Quest’anno il mese del Pride è entrato in concomitanza con una discussione pubblica che va avanti da molti mesi ormai, cioè quello sul DDL Zan e, nelle ultime ore, il tentativo di ingerenza della Chiesa Cattolica.
La disinformazione ha conseguenze
Proprio perché la discussione pubblica sul Pride è particolarmente accesa in questi giorni, le notizie, gli speciali in tv e le discussioni sono arrivate anche alle orecchie di mio padre, che non è certamente il più ferrato su argomenti LGBTQ+ o di genere.
Anche lui leggermente vittima dell’ondata di disinformazione sul DDL (aveva interiorizzato alcune delle falsità propagandate dalla destra, ma è bastata una conversazione a sradicarle) mi ha chiesto “Ma a che serve sta carnevalata? Ormai ce li hanno i diritti, si possono pure sposare”.
Cadere dal pero come solo io so fare
E io, lo ammetto, sono un po’ caduta dal pero perché ero convinta che fosse ben chiaro perché il Gay Pride serve ancora. Pensavo fosse evidente che ogni tipo di politica inclusiva che si è fatta nei confronti della comunità LGBTQ+ non sia stata neanche lontanamente abbastanza.
Che dopo le notizie degli ultimi giorni, con la Chiesa che ancora cerca di imporre la propria visione del mondo antiquata e ormai superata (basti vedere il numero sempre crescente di persone che decidono di sbattezzarsi) sulla libertà della comunità e sull’ampliamento dei diritti LGBTQ+ e anche legati al genere.
Oppure dopo la legge appena promulgata dall’Ungheria.
A quanto pare, però, non è chiaro a tutti. Quindi ho deciso di pensarci su e di cercare di tirare fuori perché abbiamo ancora bisogno di celebrare il Pride Month, di marciare per le strade delle città facendo rumore e dicendo, a voce alta, “ora non potete più ignorarci”.
L’Italia è davvero un “porto sicuro”?
Anche quegli inserti che possono essere considerati “carnevalate”, come i carri, i trucchi, le parrucche, i pochi vestiti, i balli e le risate hanno le loro ragioni di esistere. Anche in un Paese come il nostro che potrebbe (solo ad alcuni) sembrare un porto sicuro per la comunità.
Ma possiamo davvero dirla questa cosa, contando che negli ultimi mesi abbiamo sentito di almeno due ragazze cacciate di casa e perseguitate dalla famiglia per il loro orientamento sessuale?
E quante altre storie come queste non conosciamo, perché non passano dai social o dai mezzi di comunicazione tradizionali?
Tante, troppe.
Così tante che hanno portato la Croce Rossa ad aprire una safe house, un rifugio, per le persone LGBTQ+ in cerca di aiuto e di sostegno umano ed economico perché cacciati via dalle proprie famiglie a causa della loro identità di genere o del proprio orientamento sessuale.
Esiste una realtà fatta di giovani allontanati dalle famiglie solo per il loro orientamento sessuale o identità di genere. Giovani vittime di ogni tipo di violenza e di discriminazioni per l’unica ragione, ad esempio, di amare persone dello stesso sesso.
Debora Diodati, Presidente di Croce Rossa di Roma
A che serve, quindi, il Pride?
A fare in modo che la gente non pensi più che non ci sia più bisogno di urlare, in mezzo alle strade delle città che “ci siamo anche noi”. Per non dimenticarci dei giovani che ogni giorno rimangono in mezzo alla strada perché non accettati dai genitori.
Oppure che vengono picchiati in mezzo alla strada, solo perché in compagnia del proprio ragazzo o ragazza.
O perché indossano una borsa arcobaleno.
La questione “avete già tutto”
Mio padre, una persona di sessant’anni con zero contatti con il mondo queer, pensa che le persone LGBTQ+ abbiano “già tutto”, si chiede “che cosa vogliono di più” e che, a questo punto, dovremmo fare anche “l’etero pride” (mi vengono i brividi solo a pensarlo).
Dietro quel “che cosa vogliono di più” si nasconde un pregiudizio orribile. Un po’ a dire, sono gay e dovrebbero essere grati delle piccole concessioni che vengono fatte loro, dopotutto cosa si aspettano, di essere come tutti gli altri?
Dietro quel “che cosa vogliono di più” c’è il rifiuto in principio di pensare alla comunità LGBTQ+ come ad un proprio pari. Ed è ovvio che se si continua per questa strada non progrediremo mai abbastanza, con o senza Vaticano in casa.
Tutto cosa?
È davanti ai nostri occhi la verità, cioè che le persone queer non “hanno tutto” e che, se anche ce l’avessero, questo non vorrebbe dire che il Pride non servirebbe più.
Come abbiamo potuto vedere in altri casi, come quello della situazione in Polonia di qualche mese fa, le conquiste di diritti non sono per sempre. Anzi, l’Ungheria ci ha dimostrato che è facilissimo tornare indietro, togliendo quei diritti e quelle possibilità che, per molti anni, sono state accessibili.
È stato così facile, tornare indietro, che mi sono sentita terrorizzata.
Basti pensare ai tanti andirivieni sulla questione aborto.
Dobbiamo sempre ricordarci che i diritti che ci vengono dati, soprattutto per quanto riguardano i diritti civili, possono esserci tolti. Con un cambio di governo o un cambio di umore di un leader bianco di estrema destra.
La questione “carnevalata”
E non dobbiamo dimenticarci che il motivo per cui in Italia abbiamo la legge che permette le unioni civili (una legge che potrebbe sicuramente essere migliorata) è proprio grazie a chi ha manifestato, con tutti i loro glitter e parrucche e tacchi alti e pantaloncini corti.
Dobbiamo ricordarci che il manifestare qui a Roma o in altre città italiane non è una cosa che si fa solo per la nostra libertà. Ma anche per quella di tutti quei paesi che, ogni giorno, combattono contro la repressione religiosa e moralista.
In 72 paesi, l’omosessualità è ancora un reato e le persone vengono uccise per questo.
Mentre qui le persone LGBTQ+ manifestano con la gioia di vivere e la libertà che hanno conquistato con le unghie e con i denti, in altri paesi Pride significa ribellioni, rivolte, arresti e aggressioni.
Quello che chiedono, però, è la medesima cosa: la libertà e parità di diritti.
Tenere attivo il discorso
Il Pride è fondamentale per tenere il discorso attivo ed è fondamentale per ricordarsi di tutte quelle persone che hanno perso la vita per la causa, per la volontà di amare chi si vuole amare ed essere chi si vuole essere.
Il Pride unisce quelle persone che la società che punta allo status quo vuole tenere divisi: associazioni che lavorano per lo stesso obiettivo; dare una comunità e una nuova famiglia a quelle persone che sono state rifiutate dalla propria famiglia di origine; dare visibilità, attivare conversazioni; coinvolgere gli alleati eterosessuali e cisgender che, a volte, presi nel proprio privilegio, non fanno sentire la propria voce.
Andate al Pride
Quello che posso consigliarvi è di andare al Pride. Non guardatelo in tv, dietro il gatekeeping di una telecamera. Vi consiglio di passeggiare accanto alla manifestazione, di guardare i carri, di ballare e di sorridere e vi troverete nel posto più positivo e accogliente in cui siete mai stati.
Vedrete i carri colorati delle discoteche, ma anche le famiglie arcobaleno con i bambini entusiasti al seguito. Vedrete meravigliose drag queen, ma anche i genitori che sono al Pride per dare sostegno ai figli, con delle dolci magliette stampate per l’occasione.
Sentirete concerti e ballerete, ma ascolterete interventi di attivisti e discorsi che riaccenderanno la vostra fiducia nel mondo.
Potete scegliere alla fine, continuare a vivere nell’oscurantismo, nelle maglie strette del patriarcato e del tradizionalismo becero, nell’ignoranza e nel pregiudizio. Oppure potete ballare e ricordarvi che l’amore e la libertà sono l’unica cosa che conta.
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