Finora potremmo riassumere i Giochi Olimpici di Tokyo 2020 come un misto di gioia e rammarico. Le polemiche, si sa, sono il sale della comunicazione moderna e non hanno risparmiato la rassegna a cinque cerchi, tra pochi ori e troppi bronzi (guardando all’Italia), organizzazione così così e commentatori televisivi, a detta di alcuni, non in grado di coinvolgere il pubblico a casa. Ma c’è un altro lato della medaglia, forse emerso nei primi giorni delle competizioni olimpiche e passato in secondo piano rispetto ai risultati agonistici ma che credo meriti tutta la nostra attenzione. Mi riferisco al benessere psicologico, all’importanza che riveste nella vita di ciascuno di noi, sebbene si sia portati a sottostimarla.
Benessere psicologico, tutto grazie a Biles e Osaka
“Mens sana in corpore sano”. Non è forse questa una delle locuzioni latine più celebri e citate al mondo? Giovenale ci aveva visto giusto, anzi, giustissimo. E ne sono una riprova le due campionesse, rispettivamente del tennis e della ginnastica, Naomi Osaka e Simone Biles.
Entrambe atlete magnifiche, vittoriose nelle rispettive discipline, ma colpite da un crollo mentale da farci interrogare sul crescente peso che questi atleti sono costretti a portare. La stessa Biles ha ammesso di percepire tutto il peso del mondo sulle proprie spalle, tanto da non riuscire a gareggiare e a ritirarsi dalla competizione a squadre dei Giochi Olimpici.
Parole simili della tennista giapponese, ex numero uno della classifica WTA, che è uscita al terzo turno del torneo olimpico lamentando le eccessive pressioni da parte dell’opinione pubblica. Parole dure che arrivano a poche settimane di distanza dal ritiro dal torneo del Grande Slam del Roland Garros per problemi di salute mentale.
Benessere psicologico: è Ok non essere Ok.
Alcuni diranno che è scontato avere problemi di equilibrio qualche volta nella vita, soprattutto se si è uno sportivo che si gioca tutti gli anni di preparazione in una frazione di secondo. Ma ci siamo mai fermati a riflettere sulle aspettative di cui carichiamo questi atleti nel corso della loro carriera?
Io, da ex tennista, posso assicurarvi che se non si ha una solidità mentale non si è in grado di ribaltare una partita e, soprattutto, di mettersi alle spalle un brutto punto per ripartire da zero. E parliamo di una persona che ha sempre gareggiato da non classificata in tornei di provincia. Per inciso, io perdevo match col punteggio di 6-0, 6-1 e tornavo a casa col sorriso sulle labbra, mentre i genitori dei miei avversari rimproveravano in continuazione i figli per una palla uscita di poco oltre la linea. Fossi stata io mi avrebbero messo in punizione?
È ovvio che per arrivare a certi livelli è importante avere talento, costanza, mettere impegno e lavorare sodo. Ma è evidente che qualcosa non va.
Il mental coach: l’aiuto di cui ognuno avrebbe bisogno
Dopo essermi esaltata nel vedere la finale dei 100 m maschili, con la vittoria dello stratosferico Marcell Jacobs, e quella del salto in alto, con l’oro del felicissimo Gianmarco Tamberi, non ho potuto non notare il fatto che abbiano menzionato e ringraziato pubblicamente il loro mental coach. Nello sport è sicuramente una pratica consolidata, eppure il crescere delle esternazioni circa le difficoltà degli atleti nell’affrontare la preparazione ad una competizione o un brutto infortunio fanno bene a loro, al movimento sportivo in generale e alla società tutta.
Quello del benessere psicologico rimane ancora oggi un tabù, anche nella società civile. Avvertire la necessità di parlare con qualcuno dei propri problemi viene visto da molti ancora come qualcosa di cui vergognarsi. Non è così. L’uomo è anche fatto di tante fragilità.
Uno psicologo “d’ufficio” per ognuno di noi
La società contemporanea esige sempre di più da noi. Le aspettative sociali, il lavoro sempre più pressante, il tempo che corre. Non abbiamo più tempo. Non abbiamo più tempo per prenderci cura di noi stessi e, alle volte, crolliamo sotto il peso delle responsabilità.
Credo fermamente che ci sia bisogno di più attenzione al benessere psicologico di ognuno di noi. Credo anche che si dovrebbe realizzare un sistema secondo il quale, a ciascun bambino, al momento della nascita, venisse assegnato uno psicologo oltre che un pediatra. Sarà una provocazione eccessiva? Lascio a voi le dovute considerazioni.
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